S’è scomposta un po’ Rio, in certe giornate, ha traballato, ma, alla fine ha retto l’onda dei Giochi. Dovevano essere Olimpiadi flagellate da zika, violenza e manifestazioni. Nulla di tutto questo: gli impianti sono bellissimi e si sono (quasi) riempiti, i trasporti hanno retto (se magari i taxisti avessero conosciuto meglio la città…), le infrastrutture tecnologiche anche.
È stata maravihla. Il Cio ha ammesso di aver sostenuto economicamente il comitato organizzatore, qualche falla (tipo l’acqua verde in piscina) s’è vista ma nulla di quel che era stato paventato all’inizio. I brasiliani, nonostante la crisi economica e quella politico-istituzionale, si sono stretti tutti attorno ai Giochi per non sfigurare troppo. Istituzioni volontari, anche se poi il 30% di loro se ne è andato subito, cittadini hanno fatto, brigato, aiutato, con allegria e non sempre con tempismo, ma hanno fatto, hanno costruito un’edizione meno sfarzosa ma più vera. Un’edizione da tempi di crisi e come dovrà essere in futuro per non obbligare le città a rinunciare alle candidature prima ancora di iniziare il percorso di avvicinamento agli impegni per ospitare un’Olimpiade.
Adesso resta il dopo: come riutilizzeranno impianti e strutture? Quale impatto avrà lo sforzo economico sui prossimi anni del Paese? La sensazione è che l’impegno di questi mesi sia stato davvero oltre le forze del Paese e che il Brasile pagherà a caro prezzo. Troppo fragile per reggere tanti sforzi, tanti investimenti, mentre intorno a sé, l’economia non riparte e le istituzioni vivono nella bolla dell’impeachment contro Dilma Rousseff senza prendere il destino per le corna e costruire un Paese nuovo. Con i Giochi hanno perso un’occasione che non tornerà più.
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