Vi conquisterà Yes, I can (cercatela sul web). Canterete, sorriderete e ballerete ed entrerete con gioia di vivere nel clima delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro che iniziano mercoledì 7 settembre.
La tv inglese Channel 4 ha prodotto, in vista dei Giochi brasiliani, questo singolo, eseguito da The Superhuman Band, un gruppo di sedici musicisti disabili provenienti da tutto il mondo. Interpretano – e i proventi sosterranno la squadra paralimpica della Gran Bretagna - il classico di Sammy Davis Jr del 1964: “I was just born today / I can go all the way / Yes, I can”. Così, sono i Giochi paralimpici: poter esserci e competere sulla scena del mondo.
Che Giochi saranno
Il Brasile è sopravvissuto ai 17 giorni olimpici di agosto. Nessuno sfarzo, nessuna magnificenza: vuote le casse del Paese, quelle dello Stato federale di Rio e quelle del comitato organizzatore, si è fatto come meglio si è potuto, sorretti dalla alegria e dalla buona volontà. Hanno vinto gli immortali Usain Bolt, Michael Phelps e Simone Biles, la passione e lo sport. Sono stati Giochi avvolgenti, è vero, ma il buco da 100 milioni, causato soprattutto da vendite inferiori alle attese dei biglietti e dal passo indietro di molti sponsor, finirà per ricadere sulle Paralimpiadi. «È il momento più difficile della nostra storia lunga 56 anni», ha ammesso Philip Craven, presidente del Comitato paralimpico internazionale. I tagli pianificati, che si aggiungono a quelli dell’ultimo anno, non coinvolgeranno il numero degli eventi ma lavoratori, volontari, trasporti e alcuni impianti. Ad esempio, le gare di scherma si svolgeranno al Parco Olimpico, in modo che la struttura, indicata in una prima fase, possa essere smantellata per tagliare costi di esercizio e manutenzione.
La squadra azzurra
«Siamo preoccupati da questi tagli», confessa Luca Pancalli, presidente del Cip, il Comitato italiano paralimpico. «Prima dell’inizio, sappiamo, vista la situazione politica ed economica di grande instabilità del Brasile, che Rio non sarà Londra, ma sono sicuro che, una volta accesa la fiamma olimpica, lo tsunami di sorriso e forza che gli atleti paralimpici hanno dentro sarà contagioso e che tutto andrà per il meglio».
A Rio de Janeiro stanno arrivano in questi giorni anche gli azzurri, insieme agli atleti di altri 180 Paesi: la squadra italiana è formata da 105 sportivi (erano 98 a Londra 2012 e 84 a Pechino 2008). Vengono da Piemonte, Lombardia (24), Veneto (9), Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna (11), Toscana, Marche, Umbria, Lazio (8), Abruzzo, Puglia, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna. Hanno un’eta media di quasi 36 anni, che comprende il giovane schermidore Emanuele Lambertini di 17 anni e Clara Podda, impegnata nel tennistavolo, di 65 anni.
Cinque cerchi di emozioni
«Ho vissuto – spiega Pancalli – quattro edizioni da atleta e otto da presidente e percepisco le emozioni dei nostri ragazzi: i Giochi sono il palcoscenico più importante, oltre non c’è davvero nulla. Abbracciare gli altri 4mila atleti presenti, incontrare in mensa i colori e le religioni del mondo dà la consapevolezza che lo sport è valore fondante della vita». Certo, la spedizione azzurra, il cui costo supera, vista la lontananza della sede, il milione di euro, sa di andare incontro ad alcune lacune del comitato organizzatore ma «noi siamo portatori sani di normalità perché lo sport è carica di energia che dovrebbe avvolgere la vita di ogni giorno».
E perché il Comitato paralimpico italiano, che è di recente stato riconosciuto come Ente pubblico, ha una sfida importante: «Il riconoscimento – dice il presidente – non è solo un pezzo di carta ma spiega che la nostra mission è nell’interesse del Paese: fare sport è fare politica attiva nel welfare del Paese perché gli atleti rivendicano il diritto inalienabile alle pari opportunità, a partecipare alla vita». E, se i disabili invece che rimanere chiusi in casa, fanno sport, frequentano le palestre, peseranno meno sul welfare e faranno muovere l’economia. «Il Paese – chiosa Pancalli – cresce grazie al Pil ma soprattutto se investe sul capitale umano».
Nuove consapevolezze
Arrivati alla XV Paralimpiade e dopo tanti esempi di atleti disabili, si respira una nuova sensibilità. La strada ancora è tanta, ma le basi ci sono: «Da atleta prima, e da dirigente poi, ho vissuto tanti anni di pacche sulle spalle. Erano più solidarismo becero che condivisione dei nostri ideali. In passato ho detto no a possibili sponsor quando capivo che non c’era il sostegno alla nostra mission. Ora con gli sponsor, ad esempio Mediobanca, Eni, Barilla, Inail, Fondazione Terzo Pilastro, Pegaso abbiamo costruito un lavoro in team che coinvolge anche i dipendenti di quelle realtà».
Molto è cambiato dopo Londra: «Tanti disabili ci hanno cercato per informazioni: so bene che ogni medaglia vinta ha un valore, ma la mia responsabilità di manager è il messaggio, è entrare nelle case degli italiani e spiegare che lo sport è investimento sul capitale umano». Una mano verrà anche dalla Rai, che trasmetterà le gare di Rio de Janeiro quasi 24 ore su 24.
Il lascito italiano
In Brasile gli azzurri raccoglieranno gloria, record e medaglie e lasceranno qualcosa di importante. Casa Italia sarà ospitata, a differenza del solito albergo, in una parrocchia di Rio, la Parroquia Imaculada: «Nel Dna italiano c’è la solidarietà, che ha un valore sociale ed economico – conclude Pancalli – Le somme risparmiate saranno destinate a progetti per disabili nella diocesi della città carioca». Perché, come canta The Superhuman Band: Yes, I can.
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