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Addio a Ciampi, presidente della coesione nazionale

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aveva 95 anni

Addio a Ciampi, presidente della coesione nazionale

(Ansa)
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Dalla “scommessa” sull'euro, vinta negli anni in cui era al Tesoro, al Quirinale dove approdò subito dopo, il 13 maggio del 1999, eletto alla massima carica dello Stato alla prima votazione. E poi indietro nel tempo, una lunghissima, prestigiosa presenza ai vertici delle istituzioni: dal suo primo ingresso nel 1960 in Banca d'Italia, al Centro studi, di cui assume la direzione nel 1970, alla rapida ascesa che lo vede segretario generale nel 1973, vice direttore generale nel 1976, direttore generale due anni dopo e governatore nel 1979.

Esperienza fondamentale, la Banca d'Italia per Carlo Azeglio Ciampi - scomparso stamane nella clinica Pio XI di Roma a 95 anni - chiusasi nel 1993 quando Oscar Luigi Scalfaro lo chiama a presiedere il governo in una situazione politica difficilissima, resa incandescente dalla crisi di Tangentopoli. Poi l'avventura dell'euro, che Ciampi giocò da protagonista assoluto negli anni del governo Prodi, dal 1996 al 1998 e successivamente nel governo D'Alema.

Da qualche tempo, con l'incedere inesorabile degli anni, il presidente Ciampi aveva di molto diradato i suoi incontri, quei colloqui nel suo ufficio da senatore a vita, in cui affrontava con i suoi interlocutori i più rilevanti argomenti di attualità, dall'economia all'Europa, vero faro di tutta la sua vita. Su tutto spiccava quella sua costante «preoccupazione pedagogica», lo sguardo proiettato alle giovani generazioni, con il ricordo nitido di quel suo girovagare tra le capitali europee, negli anni del difficile risanamento dei conti pubblici, per vincere le ostilità e i preconcetti dei partner europei, tedeschi e olandesi in testa. Molto contribuì il suo prestigio personale.

Fu così che in quell'anno decisivo, il 1997, sul quale si sarebbero basate le “pagelle” europee per stabilire quali paesi avrebbero parte da subito alla moneta unica, riuscì a ridurre il deficit dal 6,4 al 2,7%, operando in buona parte sulla spesa per interessi, che alimenta il debito, e che è il termometro della percezione dei mercati sull'affidabilità di un Paese. «Mi si chiede spesso – amava ricordare il presidente Ciampi – perché decidemmo di partecipare subito alla moneta unica. Rispondo, come europeo, che senza l'Italia sarebbe nato un euro a larga prevalenza mitteleuropea. La componente mediterranea, la vera culla della civiltà europea, sarebbe stata emarginata».

Ciampi le ha vissute da protagonista tutte le fasi del percorso di avvicinamento all'unione monetaria. «Quando avviai la manovra per ridurre di quattro punti in un anno la spesa per interessi, lo spread aveva raggiunto i 600 punti base. Una cifra impressionante, un divario che sembrava impossibile colmare. Riuscimmo a portare il differenziale a 40 punti base. Già sotto i 200 punti sui mercati a Londra ci fu chi brindò. Poi arrivammo al minimo storico. Fu senza dubbio un risultato straordinario, una manovra tutta improntata sulla fiducia». E qui siamo a uno dei concetti chiave, quel «sta in noi» che Ciampi ha ripetuto in molteplici riprese sia da ministro del Tesoro che da presidente della Repubblica.

La fiducia è un bene prezioso, va conquistato metro dopo metro. «Fiducia significa inviare messaggi chiari ai mercati. A quel punto si mette in moto quel fondamentale circuito virtuoso che attraverso l'abbattimento della spesa per interessi consente di ridurre stabilmente il deficit e il debito». L'euro, l'Europa: un filo rosso lega l'intera vicenda politica e umana di Ciampi alla costruzione prima di tutto di una vera, profonda identità europea. Per spiegare che un edificio così complesso non può reggersi solo sulla moneta, Ciampi conia un termine: zoppìa. Siamo ancora a quel punto, con un'Europa unita sotto il segno della moneta, priva di un governo comune dell'economia, priva in sostanza della politica nel suo significato alto e profondo. Per chi come Ciampi ha vissuto il dramma della guerra, la realizzazione dell'Europa unita è paragonabile alla realizzazione di un sogno. A vent'anni, giovane sottotenente degli autieri, si trovò a dover decidere l'8 settembre del 1943 da che parte stare. Quel giorno Ciampi era in licenza a Livorno. Gli italiani - ricorda - vennero abbandonati, l'esercito si dissolse. Lui, come tanti, fu costretto a “inventarsi” un comportamento, a prendere una decisione.

Non ebbe dubbi a schierarsi dalla parte di chi era per la libertà, la democrazia e la solidarietà. Non è il paese che avrebbe desiderato – come ha ammesso qualche anno fa - ma è il paese che non ha mai smesso di amare profondamente. «La mia generazione ha conosciuto non solo la guerra, ma quel che è ancor peggio l'accettazione del conflitto come dato ricorrente e inevitabile della vita europea». E ancora: «Ogni generazione è anche il frutto di quanto le generazioni precedenti sono state capaci di insegnare».

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In Ciampi, cattolico per scelta e fede personale, laico per il suo ruolo istituzionale, convivono le ragioni di quella ricerca costante di dialogo e di confronto, che sono l'essenza dei valori propri della democrazia. Fin dall'inizio del suo mandato, Ciampi ha mirato «a rinvigorire la coesione nazionale», rivisitando con gli italiani la nostra storia, dal Risorgimento alla Resistenza in tutte le sue manifestazioni, alla Repubblica, alla Costituzione, valorizzando le specificità delle nostre realtà locali, componenti essenziali dell'identità nazionale.

Come guida - ha detto nel suo discorso di insediamento da presidente della Repubblica- «ho la Costituzione, le nostre tradizioni democratiche, il giuramento prestato dinanzi ai rappresentanti eletti della Nazione, la mia coscienza». Ad ogni tappa del lungo e appassionato viaggio in Italia, Ciampi ha rinnovato l'invito ad avviare nuove iniziative, «a investire nel futuro, ad affrontare l'avvenire con spirito creativo». Per far ripartire l'economia nazionale, occorre «suscitare la scintilla, lo scatto», e soprattutto non bisogna cedere alla sindrome del declino. Nessuno può sottrarsi alla vera sfida, che è quella di “fare sistema”.

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