Tante medaglie segno inconfondibile di impegno e sacrifici e della possibilità di potercela fare nonostante tutto. Le paralimpiadi ci consegnano ancora una volta la tenacia , la caparbietà e l’irrinunciabile voglia di vivere di persone segnate duramente da traumi o malattie. Quel che non va, a voler guardare meno superficialmente il fenomeno, è che molti di questi campioni sono avanti con gli anni, segno inconfondibile che c’è poco ricambio generazionale.
In questi giorni, in concomitanza con la manifestazione di Rio, ho potuto incontrare molti bimbi ciechi in occasione della Summer School organizzata a Castello Tesino (TN). E quel che risulta sorprendente, è che in quasi tutte le scuole dalle quali provenivano i bimbi, Foggia, Roma , Pistoia, Brescia, Modena, i giovani disabili sono esonerati dall’educazione fisica, come dire che da un lato si mostra con le paralimpiadi che si può, che lo sport fa bene, e poi a partire dalla nostra scuola in tutti i giorni dell’anno lo sport viene giudicato antitetico alla condizione di disabilità.
Si crea così il fenomeno perverso per cui chi pratica qualche disciplina come il nuoto, l’handbike, lo fa per l’eroica caparbietà e disponibilità delle famiglie o per la copiosità di denaro di qualche sponsor, per chi ha la fortuna di diventare testimonial o uomo immagine, come può capitare soltanto ad un’élite che è meno delle dita di una mano. Considerato poi che le paralimpiadi come fenomeno di immagine, di comunicazione non hanno un grande appeal, se non all’interno del cosiddetto mondo della disabilità, credo sarebbe più significativo che gli organismi nazionali, a partire dal Coni e della Federazione Sport Disabili avviassero una campagna seria per rendere obbligatorie le attività sportive nelle scuole di ogni ordine e grado. Se l’integrazione scolastica tanto sbandierata da molti come fenomeno di civiltà, oggi annovera quasi 200mila alunni, se tutti in vario modo potessero praticare un’attività sportiva, ci sarebbe davvero un gran vivaio dove coltivare qualche campione così da non dover ricorrere ai 40-50enni per formare la delegazione italiana.
Ben vengano le medaglie d’oro, d’argento o di bronzo che mostrano la vitalità del nostro Paese anche in questo settore. Meglio sarebbe se insieme a queste, tanti bimbi ciechi, para o tetraplegici o con deficit mentale, potessero gioire di una corsa, di una nuotata, della possibilità di sfrecciare veloci con la loro carrozzina su una pista di atletica. Tante più persone disabili potranno accedere allo sport, e tanto più facile e reale potrà essere il loro processo d’integrazione sociale. Tante più persone con questo o quell’handicap usciranno dalle loro case o dai luoghi protetti, e tanto più sarà lo sviluppo di un comparto economico dove il soddisfacimento dei loro bisogni di vivere a pieno la vita, sarà finalmente l’occasione per considerare la disabilità una risorsa, una leva per l’economia, un’opportunità per ridistribuire reddito. E sancire definitivamente che la disabilità è un ambito dove il Paese può crescere e creare occupazione.
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