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Almaviva Contact chiude a Roma e Napoli e taglia 2.511 addetti

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Almaviva Contact chiude a Roma e Napoli e taglia 2.511 addetti

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

L'accordo era stato raggiunto a fine maggio. Dopo una notte di trattative era stata raggiunta un'intesa fra Almaviva e sindacati, con la regia del Mise, per scongiurare i circa 3mila licenziamenti di Almavia Contact, call center del Gruppo Almaviva che lo scorso 21 marzo aveva avviato la procedure di riduzione del personale nelle sedi di Roma (fino a 918 persone), Napoli (fino a 400 persone), ma soprattutto Palermo (fino a 1.670 persone).

A distanza di qualche mese però la situazione torna nuovamente al punto di partenza. L'azienda ha convocato oggi i sindacati per comunicare l'apertura di una nuova “procedura di riduzione del personale, all'interno di un nuovo piano di riorganizzazione aziendale”. All'interno di questa procedura è prevista la chiusura dei siti produttivi di Roma e Napoli e una riduzione di 2.511 persone (1.666 a Roma e 845 a Napoli). L’unica speranza è appesa ai 75 giorni di trattativa prevista per legge prima che i licenziamenti possano scattare definitivamente.

La prima procedura, aperta a marzo, non era onestasmente arrivata come un fulmine al ciel sereno. La decisione di Almaviva era nell'aria, evocata più volte dagli addetti ai lavori come portato di un cocktail micidiale che ha, quantomeno, profondamente stordito un settore in cui in Italia lavorano 80mila persone: 40mila nell'inbound (gli operatori che rispondono alle telefonate) e altrettanti nell'outbound (chi fa teleselling). Almaviva Contact fa parte del Gruppo Almaviva ed è la principale azienda di contact center del Paese. Pur facendo parte di un gruppo che ha internazionalizzato, ha sempre evidenziato come insostituibile un aspetto della propria attività: niente delocalizzazioni. A questo punto, delocalizzazioni (da parte di call center che hanno iniziato a fare prezzi sempre più aggressivi) e gare al massimo ribasso hanno fatto il resto, con Almaviva che ha iniziato a perdere commesse.

Per quanto concerne l'intesa di maggio, l'accordo prevedeva una gestione degli esuberi con ammortizzatori sociali e senza licenziamenti. In questo quadro, i primi sei mesi di contratto di solidarietà erano previsti per le sedi di Roma e Palermo (con percentuale al 45%) e Napoli (con percentuale al 35%). Fra le previsioni anche un tavolo mensile presso il Mise insieme con il ministero del Lavoro per verificare mese dopo mese l'andamento produttivo ed economico dell'azienda.

Ora la decisione dell'azienda. Che nei giorni scorsi aveva già previsto di spostare 154 lavoratori, perlopiù part time, da Palermo a Rende. Con la riapertura della procedura c'è un'accelerazione importante. Di un'azienda che dopo sei mesi si è accorta che nonostante tutto non ce la fa.

Nella nota in cui informa della procedura l'azienda sul punto è abbastanza chiara: ”Viene confermato uno scenario di mercato in costante deterioramento – almeno dieci le aziende del comparto chiuse negli ultimi mesi - che rimane assoggettato ad inalterati fenomeni distorsivi, senza registrare gli effetti delle iniziative di riordino dichiarate. Come dimostra, nonostante chiare leggi dello Stato che rimangono inapplicate, l'incontrollato aumento delle attività delocalizzate in Paesi extra UE: sulla base dei dati ufficiali dell'Instat albanese, nel 2015 è raddoppiato il numero dei call center che lavorano per il mercato italiano con oltre 25 mila posti di lavoro. Inoltre, si è certificato il perdurante andamento di gare ad evidenza pubblica bandite o aggiudicate a tariffe del tutto incompatibili con il costo del lavoro, dai casi più volte denunciati del servizio infoline del Comune di Milano e dello 060606 del Comune di Roma, fino alla recente gara per il servizio Recup della Regione Lazio con base d'asta sottostante i minimi contrattuali di qualsiasi contratto nazionale di lavoro.

In tali condizioni, per quanto l'Azienda abbia onorato tutti gli impegni stabiliti, i conti economici di Almaviva Contact registrano un ulteriore peggioramento che impone l'obbligo di intervenire al fine di garantire l'equilibrio aziendale e di salvaguardare, nella misura possibile, la continuità occupazionale.”

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