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Pensioni, tutte le mosse per chiedere l’Ape

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LEGGE DI BILANCIO

Pensioni, tutte le mosse per chiedere l’Ape

Una doppia domanda all’Inps. La prima per chiedere la certificazione del «diritto all’Ape» e la seconda per passare all’attivazione dell’«anticipo finanziario a garanzia pensionistica» e fare, contemporanemante, domanda per la pensione vera e propria.
Parte da qui il percorso per procurarsi il prestito-ponte che in via sperimentale potrà essere chiesto dal prossimo mese di maggio fino alla fine del 2018, quando il Governo deciderà se rendere o meno strutturale questo canale di uscita dal mercato del lavoro auto-finanziata o di “finanziamento integrativo” per lavoratori che scelgono di rimanere attivi magari con un impiego part-time (questa opzione dovrebbe essere possibile in quanto nel disegno di legge di Bilancio non c’è incompatibilità tra lavoro e Ape volontaria).

Un sentiero che non cambia se si vuole ottenere, al posto dell’Ape volontaria, la cosiddetta Ape d’impresa, cui si accederà a valle di un’accordo sindacale e che prevede il pagamento di contributi aggiuntivi a carico del datore di lavoro o degli enti bilaterali o dei fondi di solidarietà categoriali in modo da incrementare l’importo dell’assegno previdenziale.
Se invece ci si trova nelle condizioni più difficili di chi può essere ammesso all’Ape social il percorso sarà più diretto: domanda all’Inps dell’indennità che consente di raggiungere la pensione finale (durata massima 3 anni e 7 mesi) e riconoscimento della prestazione assistenziale (non è un prestito) di importo pari alla futura pensione che, tuttavia, non potrà essere superiore ai 1.500 euro mensili (non rivalutabili), non potrà esser cumulata con altri ammortizzatori sociali né con redditi da lavoro superiori a 8mila euro l’anno.

Per l’Ape volontaria servono almeno 63 anni di età e 20 di contributi, nonché una pensione di vecchiaia certificata dall’Inps non inferiore a 1,4 volte il minimo (circa 700 euro) al netto delle rate di ammortamento per l’anticipo ottenuto. Si potrà chiedere un’Ape di durata minima di sei mesi e massima di tre anni e sette mesi e il finanziamento mensile non potrà essere superiore al 90% della pensione futura certificata né inferiore a una soglia ancora da stabilire (forse il 50% delle pensione).

La scelta si farà con l’Inps, quasi sicuramente utilizzando l’attuale simulatore virtuale denominato “La tua pensione” accedendovi dopo aver trasformato sul sito il proprio Pin in una identità digitale Spid di secondo livello, cioè con password usa e getta (tutti questi particolari saranno definiti in un decreto del presidente del Consiglio). Con il simulatore aggiornato si potrà scegliere importo e durata dell’Ape vedendo immediatamente il costo del rimborso ventennale e il suo peso sulla pensione.

Con la domanda per l’Ape il lavoratore dovrà indicare anche quale banca e quale assicurazione dovranno essere indicate nel contratto di finanziamento curato sempre dall’Inps, che in questo suo ruolo di agenzia non svolgerà comunque attività né creditizia né di intermediazione assicurativa diretta. Tassi di interesse e premi saranno indicati negli accordi-quadro da stipulare, prima del Dpcm, con Abi e Ania.

Una volta ottenuto il via libera dell’Inps sul contratto finale, l’Ape va in pagamento entro 30 giorni lavorativi. Mentre al termine del prestito-ponte, avviato in automatico il pagamento della pensione, sarà sempre Inps a far scattare il rimborso rateale del finanziamento, girando l’importo, non oltre 180 giorni dalla data di scadenza di ogni rata, alla banca finanziatrice.

Il Dpcm servirà anche per attivare il fondo di garanzia dello Stato (70 milioni nel 2017) necessario per abbattere dell’80% i requisiti patrimoniali sui finanziamenti Ape che, fino a 75mila euro, sono assimilati a crediti al consumo, mentre già in legge di Bilancio è fissato lo sgravio sugli oneri per interesse legati al rimborso: una detrazione in quota fissa del 50%.

Tornando all’Ape social, le categorie di lavoratori che vi possono accedere sono già delineate nella disegno di legge di Bilancio. Si tratta di disoccupati che hanno terminato i sussidi da almeno tre mesi, di chi assiste familiari con handicap grave (legge 104/1992) o di lavoratori con riduzione della capacità lavorativa per invalidità civile di almeno il 74 per cento. In questi tre casi sono necessari anche 30 anni di contributi. I contributi minimi salgono a 36 anni per le persone impiegate in attività gravose (per il dettaglio si veda la grafica a fianco). Tuttavia ulteriori aspetti specifici saranno determinati tramite Dpcm.

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