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Le imprese: ripartiamo senza la burocrazia

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Le imprese: ripartiamo senza la burocrazia

Una veduta della frazione di Castelluccio di Norcia il giorno dopo la forte scossa di terremoto che ha colpito l'Italia centrale. (Ansa)
Una veduta della frazione di Castelluccio di Norcia il giorno dopo la forte scossa di terremoto che ha colpito l'Italia centrale. (Ansa)

Le imprese non possono svernare al calduccio di un hotel di Civitanova Marche. Un dettaglio al quale nessuno sembra badare. Luana Colacecchi, proprietaria di un deposito di cibo e bevande shakerato dal terremoto, non mostra disappunto né collera. È sola di fronte una tragedia immane: il suo magazzino annegato tra le bottiglie di rhum e di whisky, i dipendenti che non vedono l'ora di tornare al lavoro e una coppia di genitori anziani accucciati dentro un’automobile.

«I danni che fa l’acqua, il vino non li ha mai fatti». Il cartello azzurro appeso a una parete del magazzino suona beffardo. Tra centinaia di bottiglie di vino e liquore che rotolano in un lago di liquidi, sembra di essere sul ponte di una nave fantasma sopravvissuta a una battaglia senza vincitori né vinti.

Luana Colacecchi bussa alla porta del Coc disperata: «Aiutateci, il nostro deposito ha subìto danni enormi, abbiamo bisogno dei Vigili del fuoco, ci serve una tenda accanto alla fabbrica, mio padre è un leone di 77 anni ma dalla notte del terremoto dorme in macchina. Quanto può reggere così?».

Di appelli, Sos, richieste di aiuto e implorazioni sono lastricate le strade disconnesse del terremoto. Il nonno di Luana imbottigliava la Peroni nel 1919. Un’azienda storica di Norcia. Ci vorrebbe uno sportello imprese, una corsia preferenziale per gli imprenditori, quelli che a parole dovrebbero risollevare le sorti dei territori. La realtà è molto più cruda: nel caos quotidiano ognuno cerca di cavarsela come meglio può. Chi sa muoversi un aiuto lesto lo riceve, chi è meno intraprendente spreca tempo ed energie in una sorta di gioco dell’oca. Il timbro di inagibilità equivale a una sentenza di morte. Dal centro storico di Norcia a San Pellegrino, la prima frazione nursina colpita dal terremoto del 24 agosto e decapitata dal sisma rovinoso del 30 ottobre.

C’è una startup fondata nel febbraio 2016 da una giovane coppia. Lorenzo Battistini e Ilaria Amici fondano la Boscotorto e comprano un ettaro di terreno per la coltivazione di zafferano, un prodotto che ha arricchito l’altopiano abruzzese di Navelli. In più, coltivano aglio nero per poi fermentarlo, una materia prima richiestissima dagli chef stellati. A metà ottobre comincia la raccolta del crocus che i ragazzi di San Pellegrino mondano ed essiccano nell’albergo in cui sono sfollati. La nuova, fortissima scossa del 26 ottobre, quella tra Marche e Umbria, li costringe a dormire in macchina. Quando rientrano in albergo per riprendersi le valigie, trovano 200 grammi di zafferano, per un controvalore di 5mila euro, ormai andato a male. Serve immediatamente una tenda o un container per continuare l’opera di essicazione. I ragazzi corrono alla Protezione civile e implorano di trovare una tenda o un container dove ricoverare anche gli attrezzi di lavoro.

La Protezione civile li dirotta dal primo cittadino. Racconta Lorenzo: «Il sindaco Alemanno ci dice: se dò la tenda o il container alla Boscotorto devo darla a tutti. Andate alla Castellina. Noi rifiutiamo: è a ridosso della zona rossa e senza via di fuga. La scossa micidiale del 30 ci darà ragione».

La Caritas italiana, impietosita da questi ragazzi che sbattono da una parte all’altra del Coc mostrando i cestini pieni di pistilli di crocus, decide di noleggiare un camper per un mese, il periodo della raccolta. Alla consegna delle chiavi, Lorenzo e Ilaria finalmente sorridono. Possono riprendere a lavorare senza il rischio di mandare all’aria un anno di investimenti (non hanno ricevuto un centesimo di aiuti dai fondi europei perché in base alle leggi il crocus non è una pianta pluriennale). Ma siccome la solidarietà è contagiosa, decidono – crepi l’avarizia e la dittatura della partita doppia – di devolvere una parte del ricavato della vendita dello zafferano e dell’aglio nero alla ricostruzione di San Pellegrino.

Torniamo a Norcia, dove la famiglia Bianconi gestisce cinque strutture ricettive: Grotta azzurra, Salicone, Palazzo Seneca e il ristorante Il Granaro sono le più celebri, popolati da turisti che arrivano da ogni parte del mondo. Se non ci fosse «un terremoto distruttivo ogni 15 anni», come dice Carlo, il padre di Federico e Vincenzo, quest’ultimo nominato per acclamazione presidente dell’associazione italiana Relais & Chateaux, sarebbe il posto più bello e sicuro del mondo. Fino al 24 agosto si preannunciava una stagione da favola: alberghi strapieni e rischio overbooking per settembre e ottobre. Sembrava impossibile riprendersi, eppure i Bianconi c’erano riusciti. Lo sciame sismico infinito non aveva fermato né i loro ospiti stranieri né gli italiani.

La scossa del 30 è stata come una mannaia: sono scappati gli stranieri, ma se la sono data a gambe anche una dozzina degli oltre 120 dipendenti: «Rumeni, macedoni, siciliani e pugliesi, ragazzi che lavoravano con la nostra famiglia da una vita, hanno rifiutato persino la cassa integrazione. Via, con mogli e figli dopo essersi licenziati. Il terzo terremoto in tre mesi li ha terrorizzati», racconta Federico. Suo padre Carlo scuote la testa, mentre il figlio svuota all’aperto per riporli in valigia tre sacchi di indumenti appena recuperati in casa con i Vigili del fuoco. «Per le aziende del cratere il governo prevede il 10% di finanziamento a fondo perduto. In una regione depressa, di area interna e a rischio spopolamento. Se queste rimangono le regole, pure noi diremo addio a Norcia».

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