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Dossier Tommaso Boni e quell’indimenticabile meta

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Dossier | N. 35 articoliRugby internazionale / I match d’autunno

Tommaso Boni e quell’indimenticabile meta

Ansa
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Ci sono momenti nella vita di uno sportivo che non si dimenticano mai. Per Tommaso Boni, 23 anni, centro della Nazionale italiana di rugby, la partita di oggi contro la Nuova Zelanda sarà sicuramente uno di quelli. Alla sua seconda presenza in azzurro, a un minuto dall'ingresso in campo (al 25’ della ripresa), è stato l'autore dell'unica meta italiana segnata ai campioni del mondo per il 68 a 10 finale in favore degli All Blacks. Boni ha fatto il suo esordio lo scorso giugno nel test match vinto contro il Canada, partendo da titolare, e oggi ha visto i primi 65 minuti di gioco dalla panchina. Fino a quel momento, gli unici punti realizzati dai suoi compagni di squadra erano i tre del calcio piazzato di Carlo Canna al 12'. A una manciata di secondi da quando ha preso il posto di Angelo Esposito, il mediano di mischia Edoardo Gori ha intercettato un pallone che poi lui, dopo una corsa in solitaria, ha schiacciato in meta, con tutta l'azione sottolineata dal boato dei 60mila dello Stadio Olimpico di Roma. «È stato molto molto molto emozionante», sono state le prime parole di Boni. Segnare una meta agli All Blacks «fino all'ultimo ti sembra un mezzo sogno, è stato bello», ha continuato. Quando alle sue spalle si è intravista un'ombra in maglia nera, il giovane trequarti azzurro ha pensato sarebbe stato preso e, invece, è stato più veloce lui. «Ho pensato che mi prendesse e invece ho segnato», ha raccontato, spiegando che dopo un momento così «non pensi più a nulla». Quello che ha fatto la differenza è stato l'intuito di capire dove andare e cosa fare. Una volta che Gori si è trovato a “rubare” l'ovale agli avversari, “ho seguito Ugo (il soprannome di Edoardo Gori, ndr), che è un giocatore molto mobile e che capisce le situazioni”, ha spiegato Boni, come se già sapesse che il mediano di mischia gli avrebbe passato il pallone, lanciandolo verso l'area di meta degli All Blacks. Resta con i piedi per terra comunque il centro delle Zebre: «È sicuramente un momento alto della mia carriera ma non è un punto di arrivo, se lo pensassi domani tornerei a casa», ha sottolineato, non nascondendo però «che è un momento molto bello» e che nonostante per l'Italia oggi la giornata sia stata segnata dalla sconfitta «questa meta la ricorderò per sempre». Una meta arrivata giusto prima «dei 22 minuti di rugby più lunghi della mia vita», perché quella corsa appena entrato è stata dura da digerire e poi «l'intensità degli All Blacks è molto elevata», ha aggiunto questo giocatore, diventato rugbista a 11 anni per tradizione di famiglia. «Mio papà Emilio giocava seconda linea e piazzava, ha giocato cinque anni a Mestre con mio zio Paolo, che mi pare fosse pilone, e mia mamma Maria Rosa era una grande tifosa del Treviso», ha raccontato, spiegando di aver iniziato anche lui dalla seconda linea, per poi passare in terza, quando oggi è uscito dalla mischia e ricopre il ruolo di centro: «Da ragazzino ero già alto, poi gli altri crescevano e io mi sono fermato», ha spiegato, scherzando sui suoi 1,84 cm, una altezza inconciliabile con il ruolo di seconda linea, dove oggi in media si viaggia sui due metri.

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