Elezione diretta o elezione indiretta? Come saranno scelti i 74 consiglieri regionali e i 21 sindaci che andranno a comporre il nuovo Senato, se la riforma costituzionale verrà approvata il 4 dicembre? Poche questioni hanno suscitato tante polemiche come questa. Polemiche alimentate da una scarsa conoscenza dei fatti o da letture capziose e pretestuose di quanto è scritto nel testo della riforma costituzionale.
E a proposito di fatti, anche in questo caso, merita partire da quanto succede in Europa. Dei 28 paesi della Ue 15 non hanno una seconda camera. Sono sistemi monocamerali. Nei tredici paesi bicamerali solo in 4 casi la seconda camera è eletta direttamente dai cittadini: sono Italia, Romania, Polonia, Repubblica ceca. In Spagna vige un sistema misto. Alla luce di questi fatti sembra difficile affermare che qualità della democrazia ed elezione diretta dei senatori siano correlate. E invece quante volte si sente dire da noi che l’elezione indiretta dei senatori è un attentato alla sovranità popolare? Ma il bello è che i futuri senatori italiani saranno in ogni caso eletti dai cittadini.
Secondo la proposta iniziale del governo i 95 senatori avrebbero dovuto essere eletti dai consigli regionali e dalle due province autonome di Trento e Bolzano. Poi all’ultimo momento si è raggiunto un compromesso per cui la decisione finale sui futuri senatori spetterà formalmente ai consigli regionali, ma dovrà essere presa «in conformità alle scelte espresse dagli elettori». Per quanto questa espressione sia stata collocata in un punto infelice nel testo della riforma, il senso è chiaro: saranno gli elettori a scegliere i consiglieri-senatori, mentre il consiglio regionale avrà un ruolo di ratifica. Dunque, si tratterà a tutti gli effetti di una elezione diretta. Le possibili modalità di questa elezione sono state chiarite in una proposta Chiti-Fornaro che troviamo molto ragionevole e che è stata fatta propria dal Pd. I futuri senatori saranno eletti in collegi uninominali pari al numero di seggi assegnati a ciascuna regione/provincia autonoma. Gli elettori avranno una scheda per eleggere i consiglieri non senatori e un’altra per eleggere i consiglieri-senatori. Quanto ai sindaci il Consiglio delle autonomie locali – organo che riunisce i rappresentanti degli enti locali – proporrà al consiglio regionale una terna di sindaci tra cui il consiglio sceglierà il sindaco-senatore.
Questo è il modello previsto dalla riforma. Si poteva puntare su una composizione e una elezione diversa del nostro Senato? Certamente. Ma non esistono modelli ideali. Ogni scelta ha costi e benefici. Si prenda il caso del Bundesrat tedesco, un modello apprezzato da molti critici della riforma. I suoi membri sono scelti direttamente dai governi regionali e non dai cittadini e rappresentano la maggioranza al governo del Land senza nessuno spazio per i partiti di opposizione. Cosa avrebbero detto i difensori della rappresentatività delle istituzioni? Il modello scelto da Renzi è diverso perché si è partiti dall’idea di un Senato in cui anche le opposizioni fossero rappresentate, quindi eletto con metodo proporzionale.
Certo, anche questo modello non è esente da difetti. Novantacinque senatori divisi tra 19 regioni e due province autonome sono pochi per assicurare un buon livello di proporzionalità. Infatti, come si vede nella tabella in pagina, nel nuovo Senato ci saranno 8 regioni e due province autonome che avranno un solo consigliere regionale e un sindaco. Va da sé che in questi casi non sarà possibile assicurare una rappresentanza proporzionale. Il principio sarebbe violato nel caso che la maggioranza al governo nella regione si accaparrasse entrambi i seggi. Ma non sarebbe rispettato nemmeno se uno dei seggi fosse assegnato a uno dei partiti di opposizione. Questa ultima soluzione sarebbe migliore, ma ci vorrà la legge per stabilirne l’obbligo. Non si può avere la moglie ubriaca e la botte piena. Non si può avere un Senato con pochi membri e il pieno rispetto del principio proporzionale. Sono due obiettivi contraddittori.
Su questo punto, come su altri aspetti del funzionamento del nuovo senato, si troveranno dei compromessi ragionevoli che sarà l’esperienza pratica a suggerire. Questo vale, per esempio, per quanto riguarda organizzazione dei lavori, rapporti tra le due camere, ruolo dei due presidenti. Col tempo molte delle questioni che oggi suscitano perplessità verranno risolte pragmaticamente. E alla fine avremo un Senato che troverà la sua giusta collocazione all’interno del nuovo modello di governo disegnato dalla riforma.
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