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Il premier accetta «per responsabilità». In pole resta Padoan

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Politica

Il premier accetta «per responsabilità». In pole resta Padoan

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

Un’ora di colloquio informale con Sergio Mattarella al Quirinale in mattinata, un breve Consiglio dei ministri in cui non è mancato il ringraziamento per il lavoro svolto insieme accompagnato da un brindisi, poi ancora al Colle per un colloquio, questa volta formale, di mezz’ora. Alla fine Matteo Renzi cede al presidente «galantuomo», come più di una volta l’ha voluto definire, e acconsente alla richiesta di congelare le sue dimissioni, che restano irrevocabili, fino all’approvazione della legge di bilancio in Senato. «Ho accettato per senso di responsabilità e per evitare il rischio che il Paese vada in esercizio provvisorio», spiega ai ministri.

Renzi: ho perso io, il mio governo finisce qui

Ma le dimissioni sono comunque già operative, si sottolinea da Palazzo Chigi, dal momento che Renzi ha subito cancellato tutti i suoi impegni da premier previsti per i prossimi giorni. Di fatto, insomma, già «dimissionario», come fa notare il ministro dell’Interno e principale alleato Angelino Alfano dopo un faccia a faccia con Renzi a Palazzo Chigi. Un faccia a faccia dal quale emerge confermata anche l’intenzione di Renzi di favorire, come segretario del Pd, la formazione di un governo politico che faccia la legge elettorale e porti poi il Paese verso elezioni anticipate. «Se dovessi puntare una fiche - sintetizza in serata Alfano a Porta a porta - direi che noi non andiamo a votare in primavera ma in inverno, a febbraio 2017».

Via libera alla manovra con fiducia tra mercoledì e giovedì, dunque, e dimissioni formalizzate venerdì. In modo da iniziare le consultazioni dopo il week end e concludere con il voto di fiducia in Parlamento al nuovo governo entro pochi giorni. L’ipotesi più probabile al momento è quella di un governo guidato dall’attuale ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e sostenuto dal Pd e dal suo segretario Renzi con l’orizzonte breve: “sistemare” la legge elettorale, o comunque attendere la sentenza della Consulta a gennaio nel caso in cui in Parlamento non ci si dovesse mettere d’accordo sulla necessaria riforma del sistema di voto, e andare il prima possibile alle urne. Addirittura a febbraio, come si è lasciato sfuggire Alfano, per dare all’Italia un governo pienamente legittimato negli importanti appuntamenti internazionali che seguiranno: a marzo, proprio a Roma, la celebrazione del cinquantenario dell’Unione europea con la questione della revisione dei Trattati, a maggio il G7 a guida italiana annunciato a Taormina da Renzi. L’ipotesi Padoan avrebbe il sostegno convinto del Pd e dei centristi e sarebbe anche una garanzia do continuità gli occhi dell’Europa. E già in Parlamento si fa il nome del suo successore a Via XX Settembre: Carlo Calenda. Il sottosegretario Tommaso Nannicini passerebbe al dicastero del Lavoro, e ci sarebbero cambi al ministero della Sanità e dell’Istruzione.

Ma dalle consultazioni potrebbero emergere anche altre soluzioni, soprattutto se alla fine a prevalere fosse la volontà di arrivare alla fine della legislatura prevista per il febbraio 2018. Per questo secondo scenario si fanno i nomi dei due presidenti delle Camere, Pietro Grasso e Laura Boldrini. La prima ipotesi è quella più istituzionale. La seconda sarebbe certamente una novità. Ma congeniale alla strategia di Renzi di costruire, da segretario del Pd, una possibile coalizione più larga dei recinti del Nazareno: alla sinistra un’area, ancora tutta da costruire, che faccia riferimento appunto a Boldrini e all’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia; e alla destra i centristi dell’attuale maggioranza.

Dipenderà anche molto dalla futura legge elettorale, su cui Renzi non ha comunque intenzione di impegnarsi troppo. Ha già chiarito nel discorso notturno post-referendum che a questo punto l’iniziativa sulla materia spetta ai vincitori del No. E all’orizzonte c’è la sentenza sull’Italicum della Corte costituzionale, prevista a gennaio, che deciderà il destino della legge elettorale nel caso - ritenuto altamente improbabile dal leader Pd - in cui in Parlamento i partiti non riescano a mettersi d’accordo.

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