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Referendum Jobs act, l’11 gennaio la Consulta decide…

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Il nuovo governo

Referendum Jobs act, l’11 gennaio la Consulta decide l’ammissibilità

Il palazzo della Consulta sede della Corte Costituzionale. (LaPresse)
Il palazzo della Consulta sede della Corte Costituzionale. (LaPresse)

Tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2017 si potrebbe andare a votare per un altro referendum, quello chiesto dalla Cgil per abrogare una serie di disposizioni in materia di occupazione e licenziamenti, molte delle quali contenute nel cosiddetto Jobs Act. Il condizionale, però, è d’obbligo, perché si andrà alle urne soltanto se la Corte costituzionale, l’11 gennaio, dichiarerà «ammissibili» le tre richieste referendarie, supportate da oltre 3 milioni di cittadini italiani e giudicate legittime dalla Cassazione il 9 dicembre scorso.

Peraltro, in caso di via libera della Consulta, il referendum potrebbe saltare qualora, prima del voto, il Parlamento approvasse una legge che va nella stessa direzione indicata dai proponenti(cosa improbabile con questa maggioranza) oppure vi fosse (cosa invece più probabile) lo scioglimento anticipato delle Camere, con conseguenti elezioni politiche (nel qual caso, la consultazione popolare slitterebbe di un anno).
L’udienza della Consulta è stata fissata ieri. L’11 gennaio - alla ripresa dei lavori dopo la pausa natalizia - saranno quindi esaminati in camera di consiglio i tre quesiti referendari della Cgil, alla luce dei criteri di ammissibilità: «omogeneità, chiarezza, univocità».

Tre i giudici cui è stato assegnato il compito di relatore. Silvana Sciarra - professoressa di diritto del lavoro eletta dal Parlamento a novembre 2014 in quota Pd - si occuperà del primo quesito, che punta all’abrogazione del cosiddetto Jobs Act (il decreto legislativo n. 23 del 2015) e di alcune disposizioni dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, con l’obiettivo di ripristinare - ma anche nelle aziende con più 5 dipendenti - l’obbligo di reintegrare in servizio chi sia stato licenziato per motivi disciplinari giudicati illegittimi (salvo che il lavoratore opti per un congruo risarcimento); per le aziende fino a 5 dipendenti, invece, il reintegro non sarebbe automatico ma a discrezione del giudice.

Mario Morelli - presidente di sezione della Cassazione, che lo ha eletto nel 2011 - sarà il relatore del secondo quesito, riguardante l’abrogazione delle disposizioni che limitano la responsabilità solidale di appaltatore e appaltante (articolo 29 del decreto legislativo n. 276/2003); l’obiettivo del referendum è assicurare piena tutela a tutti i lavoratori, a prescindere dal loro rapporto con il datore di lavoro.

Infine, il terzo quesito è stato assegnato al giudice Giulio Prosperetti - giuslavorista eletto dal Parlamento a dicembre 2015 in quota centristi - e punta all’abrogazione delle norme, sempre del Jobs Act, sul «lavoro accessorio», i cosiddetti voucher usati in maniera flessibile, inventati per cercare di regolarizzare le piccole prestazioni di lavoro solitamente pagate in nero ma che, secondo la Cgil, sono invece diventati lo strumento per «accettare impieghi al ribasso, senza diritti e con una risibile contribuzione ai fini previdenziali»: dunque, uno strumento che «non combatte il lavoro nero e irregolare» ma ne determina una «sommersione».

Il verdetto della Corte è temuto, da governo e maggioranza, più di quello del 24 gennaio sull’Italicum perché un eventuale via libera al referendum sul Jobs Act rischia di trasformarsi nella bocciatura di un’altra riforma (dopo quella costituzionale) targata Renzi. L’unico modo per evitare una seconda débacle sarebbe, quindi, andare alle elezioni anticipate in primavera inoltrata, facendo così saltare la consultazione referendaria.

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