Un lungo discorso a braccio. Per il Papa è una consuetudine, quando si trova in contesti di dialogo, con giovani specialmente. Mette da parte il discorso scritto e si rivolge ai tanti studenti presenti nello spazio all'ingresso di Roma Tre. In quattro gli hanno posto delle domande (una è una giovane profuga siriana arrivata a Roma con l'aereo papale da Lesbo, nel maggio 2016), e Bergoglio tesse un dialogo – anzi lo riprende, in un legame ideale con molti altri incontri nel mondo - dove rimette in fila i temi forti della sua pastorale, ma scende dentro il disagio giovanile, le aspettative delle nuove generazioni, le delusioni generare da un sistema che privilegia lo scontro invece che il confronto e non crea buon lavoro.
«Si perde il senso della costruzione delle convivenza sociale in una società dove la politica si è abbassata tanto, e non parlo solo di qui (dell'Italia, ndr) ma nel mondo». È la prima volta che va in una Università in Italia, per di più laica, e sceglie Roma Tre forse per le sue caratteristiche molto particolari: è una delle più giovani (nata nel 1992) ma già molto affermata dal punto di vista accademico e al contempo strettamente legata al suo territorio – Ostiense-Garbatella, adiacente alle più centrali Aventino e Testaccio - una vasta area cittadina che ha visto nel corso degli ultimi anni una decisa riqualificazione urbana pur mantenendo la sua vocazione culturale associata alla storica anima popolare.
Il Papa parla di dialogo, di comunicazione costante, di discussione, e questa deve essere la vocazione universitaria, dove si pratica «il lavoro artigianale del dialogo». In ogni caso un modello da non seguire («Non so esiste in Italia») è quello delle università di élite, che sono «ideologiche, ti insegnano questa linea di pensiero e ti preparano a fare l'agente di questa ideologia. Questa non è università». Serve invece il dialogo tra idee diverse, «l'unità… il giornale (dice ridendo, ndr)…. È cosa diversa dalla uniformità».
Eppoi un forte richiamo al dramma della disoccupazione giovanile, frutto di un processo che ha reso la società, e quindi anche l'economia, liquida, «senza concretezza». Un processo che ha portato a togliere la cultura del lavoro, «i giovani non sanno cosa fare». Un lungo incontro, infinte strette di mano e abbracci, foto e selfie, saluti cordiali – tra gli altri con la ministra Valeria Fedeli e il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, docente di storia nell'ateneo e promotore dell'accoglienza di profughi, tra cui la giovane siriana – e regali inconsueti, come l'olio extra vergine etichettato Roma Tre frutto di un oliveto adiacente il complesso universitario, e i prodotti di una terra di San Giuseppe Jato, sequestrati alla mafia e oggi in mano a cooperative di giovani. E alla fine un dipinto del rettore Panizza, del tombino di Nazareth.
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