ROMA - Le informazioni «segrete» sull’inchiesta Consip erano «oggetto di conversazioni nelle stanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri». Lo dicono gli atti giudiziari. Che precisano come sia stata «allarmante la facilità con cui queste informazioni, che dovrebbero essere caratterizzate da assoluta segretezza, erano, di fatto, diventate oggetto di conversazioni nei Ministeri... quasi alla stregua di chiacchiere da bar». L’allora sottosegretario Luca Lotti «sapeva su attività investigative» relative alla stazione appaltante della Pubblica amministrazione.
È anche questo il motivo per cui ieri il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone ha deciso di togliere la delega d’indagine ai carabinieri del Noe di Napoli, affidandola alla Guardia di finanza di Napoli e ai Carabinieri di Roma
Le fughe di notizie
Il filone sulla presunta rivelazione del segreto d’indagine è esplosivo. Perché risulta che le «ripetute fughe di notizie coperte da segreto» sono avvenute anche in tempi recenti, dopo la «trasmissione degli atti» dalla Procura di Napoli a quella della Capitale. Lo dicono con una nota il procuratore capo di Roma Pignatone e l’aggiunto Paolo Ielo, che danno notizia di aver tolto la delega d’indagine ai carabinieri del Noe, affidandola alla gdf di Napoli, già co-assegnataria del procedimento, e ai carabinieri del Nucleo investigativo di Roma.
Nel registro degli indagati, con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio, figurano l’attuale ministro allo Sport Lotti, il comandante generale dell’Arma Tullio Del Sette e il generale al comando della Legione Toscana Emanuele Saltamacchia. Sarebbero i soggetti attraverso cui sarebbero filtrate le informazioni riservate e che hanno indotto l’ad di Consip, Luigi Marroni a compiere una «bonifica da microspie» negli uffici della società pubblica (anche se la Consip sostiene di farne regolarmente, almeno una all’anno).
Lo ha confermato lo stesso Marroni, ma anche Luigi Ferrara, presidente di Consip, e Filippo Vannoni di Publiacqua, dai cui verbali «emerge in modo chiaro e univoco che personaggi del governo Renzi, tra cui in particolare Luca Lotti (fidatissimo uomo di Matteo Renzi) e lo stesso ex premier, sapessero di attività investigative sul conto di Consip».
L’accusa di Vannoni
Di più, interrogato a dicembre scorso Vannoni ha detto che «prima di parlare con il Marroni e dirgli che aveva il telefono sotto controllo, il Lotti mi ha sicuramente detto che c’era un’indagine dell’autorità giudiziaria», aggiungendo che «il presidente Renzi mi diceva solo di “stare attento” a Consip».
Le dichiarazioni di Vannoni rappresenterebbero una chiave di lettura interessante, in quanto il presidente di Publiacqua è descritto negli atti come una sorta di «portavoce» dell’allora premier. Secondo gli inquirenti «Marroni non ha un’interlocuzione diretta con Matteo Renzi (...) si comprende in modo chiaro come il suo referente sia proprio il Vannoni e che quest’ultimo, invece, oltre ad avere un’interlocuzione diretta con il premier faccia anche da “portavoce” e da collettore tra le istanze e del Marroni ed il Matteo Renzi».
Per la Procura sarebbe un elemento che potrebbe suffragare la credibilità del presidente di Publiacqua. A questo si aggiunga che gli inquirenti ritengono che Tiziano Renzia sia stato avvertito di essere intercettato. Il particolare emerge dalla telefonata che Russo riceve Roberto Bargilli, autista del camper usato da Matteo Renzi durante le primarie del 2012, che riferisce al «faccendiere» di non chiamare né scrivere sms a Tiziano. Scrivono gli investigatori: «la domanda più ovvia da farsi è quella relativa ai motivi per cui una persona come Tiziano Renzi venga avvisato di essere intercettato ma la risposta, altrettanto scontata, appare solo una, ovvero che il figlio Matteo Renzi abbia messo in campo tutte le risorse disponibili per tutelare la sua famiglia e quindi anche il padre».
Le informazioni su Woodcock
Informazioni riservate sull’indagine, inoltre, sarebbero trapelate anche sul fronte di Alfredo Romeo, il quale sembrerebbe essere connesso ad ambienti dei servizi segreti attraverso l’ex deputato di An Italo Bocchino. Negli atti si legge che «le evidenze raccolte dimostrano i rapporti frequenti tra il Bocchino e il mondo dei servizi nella persona di Marco Mancini, oggi personaggio di vertice dell’Aisi». Mancini sarebbe stato interpellato quando Fabrizio Ferragina, ex generale della Finanza con presunti collegamento con l’intelligence, avrebbe riferito a Bocchino che il pm Henry John Woodcock di Napoli «vuole acchiappà a Renzi». Attraverso Mancini, è annotato negli atti, Bocchino «ha incontrato anche l’ex capo della Cia in Italia Robert Gorelick al quale si era riservato di chiedere informazioni sia su Ferragina che su una commessa della marina americana a cui il Romeo aveva intenzione di partecipare».
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