L’abolizione delle tariffe elettriche e del gas dal servizio di maggior tutela slitta di un anno, dal primo luglio 2018 al luglio 2019. È questa la decisione scaturita dalla riunione governo-maggioranza sul Ddl Concorrenza che si è tenuta questa mattina, decreto sul quale nei giorni scorsi è stata confermata l’intenzione di porre la questione di fiducia. La novità emersa dalla riunione verrà inserita tra le modifiche di drafting, che non cambiano cioè la sostanza delle norme anche se comportano novità di un certo rilievo. Slittano anche i termini per l’approdo del provvedimento per l’esame in Senato, che è atteso dopo Pasqua.
I dubbi dei politici
La decisione sullo slittamento dell’abolizione della maggior tutela non giunge come un fulmine a ciel sereno. Nei giorni scorsi si erano levate più voci sui rischi connessi al fatto di far passare in blocco tutte le famiglie italiane al libero mercato, quando oggi per molte di loro il prezzo dell’energia viene fissato periodicamente dall’Autorità per l’energia, che stabilisce le condizioni tra il produttore e il cliente finale. Posizioni contrarie erano state espresse dal deputato Mdp, Pierluigi Bersani, che vede nel passaggio «un’ottima occasione per qualche azienda e un rischio serio per i piccoli consumatori». Su posizioni analoghe anche M5S e sicuramente le associazioni dei consumatori.
Chi guadagna e chi perde
Capire esattamente chi guadagna e chi perde con l’abbandono della maggior tutela non è un’impresa facile, perché molto dipende dal contesto di mercato e dalle condizioni previste dai contratti. Il principio di massima è che il prezzo dell’energia al cliente viene fissato direttamente dal fornitore: accade, però, che in una fase di prezzi delle commodity crescenti - come accadeva fino a qualche tempo fa con il petrolio - fermare il prezzo dell’energia per due anni era conveniente rispetto alla maggior tutela, che subisce invece aggiornamenti periodici. Un po’ come quando si deve scegliere se fare un mutuo a tasso fisso o a tasso variabile in base alle attese di andamento dei tassi di interesse. Resta il fatto che, comunque, molte famiglie (circa il 32% nel 2015 secondo l’Autorità per l’energia) sono già passate al libero mercato - convinte dalle politiche di marketing delle utility - e in molti casi si sono ritrovate a pagare di più.
La strategia delle utility
Lo slittamento di un anno per l’abolizione della maggior tutela non sembra preoccupare molto le utility, soprattutto quelle come Enel, A2A, Acea, che comunque continueranno a mantenere i clienti nella fascia protetta. Solo per Enel, che controlla il 50% del mercato, questi sono circa 20 milioni. Quando ci sarà l’obbligo di passare al libero mercato, queste utility rischieranno infatti che quel pacchetto di utenti sia aggredito dalla concorrenza. A quel punto, forse, avranno una spinta maggiore per proporre condizioni più interessanti rispetto a quelle proposte oggi (a chi accetta di passare al libero mercato) e cercheranno di vendere servizi aggiuntivi che possano catturare l’interesse del cliente (e che aumenteranno i ricavi per l’utility). La strategia commerciale che punta su maggiori servizi da vendere ai clienti, in particolare, è uno dei pilastri del piano industriale di Enel 2017-2019.
Calenda: su maggior tutela consumatori non rischiano
L’addio al mercato tutelato dell’energia e del gas «è una liberalizzazione grandissima, che impatta su tantissime famiglie e su cui non ci può essere alcun
rischio, deve essere fatta con tutte le cautele e il tempo necessario». È questo il commento del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda sul rinvio a luglio 2019 dello stop al sistema di maggior tutela, aggiungendo che si farà la massima attenzione «a essere sicuri che ci siano tutte le garanzie perché non ci siano aumenti di prezzo per i consumatori».
Verso norma anti-scorrerie per quotate e soglia al 10%
Il ministro ha inoltre spiegato che «si sta discutendo il veicolo adatto in cui inserire» la norma anti-scorrerie, «se non dovesse entrare nel ddl Concorrenza». Ma ha anche aggiunto che la soglia che farà scattare l’obbligo informativo aggiuntivo «sarà al 10% delle quote societarie e la norma varrà per tutte le società quotate», perché la definizione precedente che la limitava alle sole società strategiche è «un termine molto complicato da definire».
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