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L'Analisi|COMUNARIE DI gENOVA

Dai giudici di Genova chiarimento sulle regole M5S: Grillo non ha potere di veto sui candidati

Nel ginepraio di Genova il primo gol è stato segnato dalla ribelle Marika Cassimatis e dai suoi avvocati. Non solo e non tanto perché la sua lista è stata di fatto reintegrata, e quella del rivale Luca Pirondini, sostenuto dalla fedelissima di Beppe Grillo e Davide Casaleggio, Alice Salvatore, estromessa dalla corsa. Ma soprattutto perché l’ordinanza del tribunale civile ricostruisce le regole M5S e sancisce che nel capoluogo ligure sono state violate. Perché il capo politico e garante è andato ben oltre i suoi poteri.

Il capo politico non può annullare decisione assembleare
Andiamo con ordine. Il primo rilievo mosso a Grillo è quello di non aver specificato, nel post del 6 aprile con cui ha annunciato la sospensione di Cassimatis e dei suoi, in quale veste egli operasse. «L’autoannullamento di delibere provenienti da organismi associativi o societari (come va intesa per i giudici l'assemblea telematica genovese del 14 marzo, chiamata a ratificare la corsa di Pirondini, ndr) - si legge nell'ordinanza - è per definizione un tipo di provvedimento che può essere assunto solo dallo stesso organo che ha emesso l'atto da rimuovere». E non «da organo gerarchicamente sovraordinato nell'organizzazione della Pubblica amministrazione». In altre parole, l’eventuale autoannullamento del voto del 14 marzo doveva «essere disposto dalla stessa assemblea locale previamente convocata». E comunque le mosse decise dal M5S a ridosso dell'udienza non sono da ritenersi in grado «di poter elidere il contenzioso».

Il garante? Vale solo per gli eletti, non per i candidati
Ma è più avanti che il tribunale infierisce. Quando osserva che «non risulta particolarmente agevole la ricostruzione delle regole organizzative» del M5S e «dei procedimenti di selezione dei candidati», perché sparse in tre testi almeno: il non statuto, il regolamento e il codice etico in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie. Che rileva in quanto è l’unico a contemplare la figura del garante, evocata dai Cinque Stelle per difendere la legittimità della sconfessione della lista Cassimatis, ma che vale solo per gli eletti, non «per i semplici candidati alle elezioni locali». Sui quali il garante non ha alcun «potere di intervento». L’esame dei vari documenti, infatti, delinea un sistema per cui la scelta dei candidati è rimessa «al modulo delle assemblee mediante votazioni in rete». Ovvero alle comunarie. Vincolanti per il capo politico.

Grillo “non ha potere di veto”
Qual è allora la “cifra democratica” del M5S in base alla sua architettura decisionale? I giudici sono netti: sta nel fatto che le sue regole statutarie «si preoccupino di raggiungere un punto di equilibrio tra il momento assembleare/movimentista e l’istanza dirigista che viene riconosciuta a figura di particolare carisma e peso politico per il Movimento, come Beppe Grillo». Che cumula le cariche di capo politico come da regolamento e di garante come da codice etico. Ma lo stesso codice etico non gli garantisce il «diritto di ultima parola». Né potere di veto sui candidati, rivendicato nel post di scomunica di Cassimatis, perché non compare nelle regole statutarie. L’unica via per annullare le comunarie, per il tribunale, è passare «sempre e solo attraverso gli organismi assembleari competenti» o attraverso la procedura della convalida, se richiesta da un quinto degli iscritti o dal capo politico, a patto però che non si trasformi il quesito. Come è avvenuto chiedendo invece agli iscritti nazionali (altra violazione) di scegliere tra la presentazione della lista Pirondini o di nessuna lista.

Il difficile equilibrio tra democrazia diretta e verticismo
Come reagirà il Movimento è tutto da vedere. Ma dal caso Genova emerge con forza la fragilità della struttura decisionale interna, nonché il difficile equilibrio tra la sbandierata democrazia diretta, che richiede solide regole e assoluta trasparenza, e le tentazioni di verticismo in agguato. Soprattutto quando le scelte dal basso non coincidono con le preferenze dei vertici. Ci è voluto un tribunale per far capire che il fideismo invocato da Grillo con il suo “fidatevi di me” non può bastare. Non in un Movimento diventato di massa che ha tutta l'intenzione di andare al governo del Paese.

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