Sul paesaggio politico francese è passato «un uragano positivo che si chiama Emmanuel Macron» dice il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi. Il giorno dopo la politica italiana riflette sulle novità, un misto di prevedibile e sperato, in arrivo da Oltralpe. Lezioni naturalmente non trascurabili sul fronte del centrosinistra. Ma con messaggi chiari e diretti anche per il campo opposto, dove Giovanni Toti evoca la necessità di «qualche cosa di nuovo, di unito per candidare il centrodestra a guidare il Paese. I voti francesi ci dicono che c'è questa possibilità e che se non sapremo coglierla saremo tutti condannati alla sconfitta». L’ascesa bruciante del nuovo astro, la giovane età, una discreta dose di coraggio e voglia di arrivare: il pensiero sembra far da sé. «Risultato di Macron fondamentale per la tenuta Ue. La gara italica a chi è più Macron è sintomo di debolezza e provincialismo», taglia corto il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
Per Renzi la sfida Macron riguarda anche Italia
L’imporsi di Macron al ballottaggio, più che plausibile sulla carta, «potrebbe dare molta forza a chi vuole cambiare l'Europa», fa notare Matteo Renzi («bravo Macron: la sfida inizia adesso. Una sfida che riguarda anche l'Italia. Avanti, insieme»). Per l’ex premier «chi ama l'ideale europeista sa che gli avversari sono i populismi. Ma sa anche che l'Europa è un bene troppo grande per essere lasciato ai soli tecnocrati». L'opera di «ricostruzione» dell’area socialista sarà «un lavoro molto difficile ma credo anche molto entusiasmante per una nuova classe dirigente della sinistra francese», è l’ulteriore notazione di Gozi. Adesso «è interesse dei francesi ma anche di noi europei avere una Francia forte». Crescita, lotta a disoccupazione, rilancio Ue, stop a populismo: «in bocca al lupo a Emmanuel Macron #EnMarche #incammino» scrive su twitter il capogruppo Pd alla Camera Ettore Rosato nel sintetizzare con una formula i punti dell’agenda del favorito all’Eliseo che trovano ampia rispondenza (non a caso) in quella di Matteo Renzi in corsa per la leadership dem. Anche Andrea Orlando rimarca gli aspetti interessanti della prima tornata in Francia. Su due fronti. «In primo luogo perché la Le Pen non ha sfondato e con lei non ha sfondato una forza para-fascista che avrebbe messo in crisi un percorso di integrazione europea, in secondo luogo l'affermazione di una candidato che ha detto Europa con grandissima forza» nota il candidato alla segreteria del Pd e ministro della Giustizia. «È successo quello che è successo in Olanda, quando si insegue la destra sul terreno dell'euro-scetticisimo vengono premiate alla fine le forze che invece con più chiarezza dicono che la prospettiva è l'Europa. Ed è questo un dato su cui riflettere anche in Italia, perché l'Europa non è soltanto un posto dove andare a battere i pugni, ma un luogo dove mettere il cuore e costruire la nostra prospettiva». Michele Emiliano, l’altro sfidante per il Nazareno, da una prospettiva diversa influenzata dalla recente storia italiana “consiglia” il leader di EnMarche. «I populismi avanzano solo davanti a leadership e prassi politiche sbagliate, non credibili ed opache dei partiti riformisti. Macron deve costruire adesso una coalizione che tenga al suo interno la sinistra francese senza commettere l'errore del Pd italiano gestione Renzi di pensare di poter sostituire Forza Italia spogliandola del suo elettorato, abbandonando nell'area del non voto o peggio al M5S, gli elettori della sinistra rimasti senza riferimento».
Gasparri: i gollisti facciano severa autocritica
«Il primo dato di fatto è che non c'è più un sistema bipolare ma quadripolare. Il secondo è che il partito socialista è al minimo storico. Il terzo è che il vento antieuropeista soffia forte». Il quadro è questo per Paolo Romani di Forza Italia. Ma a dover fare la più severa autocritica dopo i risultati delle elezioni presidenziali francesi sono i gollisti a sentire Maurizio Gasparri, secondo cui «il fallimento di Hollande consegnava al centrodestra classico una vittoria scontata, vanificata da errori accumulati negli anni». «In tanti avevano bocciato già alle primarie l'ostinazione di Sarkozy che si era trasformato, da gendarme della Francia quale sembrava essere, nel marito di Carla Bruni e nel valletto di Merkel. Fillon, che sul piano dei contenuti appariva certamente un candidato eccellente, doveva prendere atto che la vicenda Penelope non lo rendeva in grado di competere. Se i gollisti, che hanno sfiorato il ballottaggio, avessero avuto il coraggio di ritirare Fillon e di candidare chiunque altro oggi staremmo commentando un'altra storia».
Giorgia Meloni rifiuta paralleli con l’Italia almeno sul piano della leadership («Renzi non è il Macron italiano semmai è l'Hollande italiano»). Quel voto dimostra solo che «la gente ha voglia e bisogno di novità, di cambiamento, di rompere con gli schemi del passato e di progetti coraggiosi fatti nell'interesse dei popoli e non delle oligarchie di potere». Un significato di cui tener conto. «Poi ogni Nazione ha la sua storia. Io penso che qui per esempio sia molto più facile trovare una sintesi tra “populismo” e popolarismo, di quanto non lo sia in Francia dove storicamente c'è una conventio ad excludendum contro la Le Pen. Però sicuramente la gente chiede cambiamento e rottura con gli schemi del passato».
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