Nel 2016 sono stati 16 gli sconfinamenti nelle acque territoriali libiche da parte di mezzi italiani, europei e delle ong impegnati nelle operazioni di ricerca e soccorso ed erano «tutti autorizzati» dalle autorità libiche. Lo ha detto il capo ufficio operazioni della Guardia Costiera, il controammiraglio Nicola Carlone, nel corso di un’audizione al Comitato Schengen. Carlone ha parlato di episodi «sporadici».
Come funziona la richiesta di soccorso
Il controammiraglio Nicola Carlone ha spiegato che la Libia non ha una sua area Sar (Search and Rescue), dunque «quando riceviamo una richiesta di soccorso che proviene dalle acque territoriali libiche non possiamo far altro che avvisare la guardia costiera libica». Che, aggiunge, «risponde in modo altalenante: a volte ci vieta di intervenire, a volte ci dice di non essere in grado di procedere, altre ancora interviene direttamente senza informarci. In ogni caso, l’ingresso nelle acque territoriali libiche non è mai stato esercitato in maniera autonoma ma sempre in seguito a una richiesta del centro di soccorso libico». Carlone non ha però escluso che vi possano essere casi in cui vi sia stato «lo spegnimento del transponder o una mancata propagazione del segnale».
“Nel solo 2016 un totale di 181.436 migranti sono stati soccorsi e portati in sicurezza in Italia, di cui 49.796 da ong”
Dati Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni)
Malta continua a negare i porti
Le autorità maltesi, ha ricordato il contrammiraglio, continuano a negare l’attracco nei porti dell'isola alle navi cariche di migranti e limitano al massimo i loro interventi di soccorso. Carlone ha parlato di “conflittualità” tra Italia e Malta soprattutto per quanto concerne l'area di ricerca e soccorso. Ogni volta che un'imbarcazione viene soccorsa, ha spiegato il controammiraglio, va individuato un porto sicuro dove far sbarcare i migranti. E spesso questi porti sono quelli di Malta, o della Tunisia. «Ogni volta che riceviamo una chiamata di soccorso - ha spiegato Carlone - avvisiamo i centri più vicini. Ma loro ci dicono di no. È successo un mese fa, almeno un paio di volte con la Tunisia. E succede spesso con Malta». Sul fronte dei soccorsi in mare, le cose non vanno molto diversamente. Alcuni paesi, ha infatti detto Carlone riferendosi in particolare proprio a Malta, «tendono a sottovalutare le condizioni di reale pericolo in cui si trovano le imbarcazioni, per sottrarsi all'obbligo di dichiarare intervento Sar e dunque intervenire, e si limitano a un monitoraggio, fino a quando le imbarcazioni non lasciano le acque territoriali». Di fatto, «mirano ad evitare di intervenire su flussi che poi proseguono verso l'Italia».
Le navi Ong non sono fattore di attrazione per trafficanti
La presenza delle navi delle ong davanti alla Libia non rappresenta un “pull factor”, un “fattore di attrazione” per i trafficanti di esseri umani, ha detto Nicola Carlone sottolineando che «spesso la loro presenza non dà impulso alle partenze». Carlone ha detto che nel 2016 il 26% degli interventi sono stati fatti dalle ong. Ma ha spiegato che se è vero che il numero delle navi delle ong è passato dall’unica impegnata nel 2014 alle 12 attualmente operative, «non c'è mai stata la presenza contemporanea di tutte le navi nell'area di ricerca e soccorso». In ogni caso, non è questa presenza a far partire i migranti. «In questi giorni c'è mare tranquillo, abbiamo diverse navi in mare e non succede nulla. Il traffico viene regolata a terra, sono le organizzazioni che decidono» a prescindere da meteo e presenze in mare. Senza contare che le partenze dalla Libia sono iniziate nel 2009 e da allora «tutti sanno che ci sono decine di unità in mare, comprese quelle che operano per le piattaforme».
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