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Dai profitti delle multinazionali ai bit, ecco dove la web tax è…

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VERSO IL G7 DELLE FINANZE

Dai profitti delle multinazionali ai bit, ecco dove la web tax è già realtà

L’accordo tra Entrate e Google ha riportato il tema alla ribalta: è possibile una via italiana alla web tax? Intanto del tema si discuterà - come ampiamente anticipato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan - nel G7 delle Finanze in programma a Bari nel fine settimana. L’approccio sarà quello di cercare un fronte comune per individuare modalità il più possibile condivise di tassazione delle attività economiche native digitali: dall’e-commerce alla pubblicità online.

La tassa sui profitti nel Regno Unito
Per ora lo scenario internazionale si presenta molto articolato, con in realtà un solo vero tentativo tra i principali Paesi: il Regno Unito. Il meccanismo che va sotto il nome di Diverted profits tax (Dpt) - come fa notare l’Upb (ufficio parlamentare di bilancio) - è stato introdotto nel 2015 nel Regno Unito e prevede una tassazione del 25% ma in due situazioni ben precise.

1) Il trasferimento in Paesi a più basso prelievo. La prima situazione che può far scattare la Dpt è quella in cui la società realizza profitti nel Regno Unito ma poi fa in modo di spostarle in Paesi con trattamento fiscale più favorevole verso soggetti che non hanno sostanza economica e che sono detentori di attività significative prevalentemente immateriali (costituzione di intellectual property companies in paradisi fiscali).

2) La stabile organizzazione. La Dpt poi può scattare in presenza di situazioni elusive da parte di una stabile organizzazione di un’impresa non residente nel Regno Unito ma che comunque vende beni o servizi sul territorio.

Questo sistema è stato accompagnato anche dall’attribuzione di poteri di indagine dell’amministrazione finanaziaria britannica sulle attività societarie.

Il caso India
Non sono molti i Paesi nel resto del mondo ad aver già previsto un meccanismo di web tax. Va segnalato il caso indiano con l’equalization levy, in pratica si tratta di una forma di prelievo a carattere compensativo che parte dall’obiettivo di garantire lo stesso trattamento tra operatori domestici ed estero.

E l’Unione europea?
Finora la grande assente sul terreno della web tax è stata l’Unione europea. Nel dossier del servizio Bilancio del Senato relativo alla proposta di legge (atto 2526) presentata dal presidente della commissione Industria Massimo Mucchetti (Pd) si mette in evidenza che «l’approccio della Commissione europea alla tassazione dell'economia digitale è stato duplice». Da un lato «è in corso un tentativo di regolazione della materia, introducendo una normativa fiscale che, senza ostacolare lo sviluppo di questa forma di economia e salvaguardando gli effetti positivi che possono derivarne sulla crescita, eviti fenomeni di evasione, elusione ed aggiramento delle norme». Dall'altro, invece, «fenomeni di elusione posti in essere da multinazionali che hanno sfruttato la diversità delle legislazioni nazionali sono stati perseguiti facendo ricorso alla normativa antitrust».

Sul piano della regolamentazione siamo, quindi, ancora a un livello embrionale. E anche sul versante dell’Iva è attesa la presentazione di una proposta legislativa per porre in essere un sistema dell'Iva definitivo, basato sul principio dell'imposizione nel paese di destinazione dei beni. Si tratterebbe, quindi, dell'estensione alle operazioni transfrontaliere del principio generale per cui il fornitore dei beni riscuote l'Iva dal proprio cliente».

Il contatore dei bit

In questo contesto c’è chi una proposta almeno sul tavolo della discussione l’ha lanciata. Mauro Marè, consigliere economico del ministro Padoan, ha ipotizzato il ricorso a una sorta di contatori digitali«che rendano possibile il rilevamento statistico del numero di utenti, la natura e l'intensità dei contatti» per arrivare a determinare i ricavi dei grandi operatori web. Con un parallelismo caro al Fisco italiano, si tratterebbe di uno studio di settore dell’economia digitale che in pratica consentirebbe di tradurre i click o l’utilizzo da parte degli utenti in un indicatore di ricavi dei player della rete.

La cooperative compliance allargata
C’è chi poi come il direttore delle Entrate Rossella Orlandi ha proposto una sorta di allargamento del regime della cooperative compliance per i grandi del web. Un sitema che consentirebbe di arrivare a un accordo preventivo di tassazione tra amministrazione finanziaria e società digitali.

La conversione della manovrina
Ma il tema web tax potrebbe tornare di attualità già nella conversione del decreto manovrina. Come anticipato da Marco Mobili e Marco Rogari, il presidente della commissione Bilancio di Montecitorio Francesco Boccia (Pd) - da sempre fautore di un intervento normativo in materia - potrebbe presentare un emendamento che delinei una sorta di opzione volontaria da parte delle società digitali che consenta loro di essere considerate una “stabile organizzazione” in Italia con la consrguenza di versare l'Iva sul fatturato sviluppato sul nostro territorio.

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