È cominciato il balletto parlamentare sulla riforma elettorale. La commissione affari costituzionali della Camera ha prodotto faticosamente un testo base. Non serve a niente. O meglio: serve solo a far finta di armonizzare i sistemi elettorali di Camera e Senato. Ma il vero problema del paese è la governabilità. Da questo punto di vista la proposta della commissione ci fa fare addirittura un passo indietro. In sintesi, si estende il premio di maggioranza al Senato e contemporaneamente si introduce lì la stessa soglia di sbarramento della Camera, cioè il 3%.
Adesso la soglia al Senato per i partiti singoli è l’8% e per quelli coalizzati diventa il 3%, se la coalizione arriva al 20%. Questo sbarramento rappresenta un freno alla frammentazione. Con la proposta della commissione invece si “proporzionalizza” ancora di più il sistema elettorale. Infatti il premio di maggioranza al Senato non serve a niente perché nessuno arriverà al 40% che lo fa scattare, mentre la soglia al 3% servirà a fare entrare in Senato nani, nanetti e ballerine. Speriamo che il Pd non si presti a far approvare questa ennesima follia.
L’altra proposta al momento in campo è quella del Pd. Si tratta di una versione rivista del sistema elettorale con cui abbiamo votato tra il 1994 e il 2001, il cosiddetto Mattarellum. Entrambi sono sistemi misti che combinano maggioritario e proporzionale. Cambiano le quote di seggi assegnati con l’una e con l’altra formula. Nel caso del Mattarellum i seggi maggioritari erano il 75% del totale. Nel caso dell’attuale proposta del Pd sono il 50%. Le altre differenze, come per esempio lo scorporo, sono secondarie. La formula 50-50 ha fatto pensare a qualcuno che si tratti di un modello tedesco ma non è così. In Germania tutti i seggi sono assegnati con formula proporzionale. I collegi uninominali servono a selezionare i candidati, non a determinare la ripartizione dei seggi tra i partiti. I collegi del sistema proposto dal Pd sono collegi “veri” che hanno un effettivo impatto maggioritario. Essendo meno di quelli del vecchio Mattarellum questo impatto è minore, ma c’è.
Se la proposta del Pd fosse approvata non risolverebbe il problema della governabilità, ma sarebbe un miglioramento rispetto alla situazione attuale. Dopo la bocciatura dell’Italicum da parte della Consulta il sistema elettorale della Camera è sostanzialmente un proporzionale con una clausola di sbarramento del 3%. Il premio di maggioranza è una finzione. Nessun partito può arrivare al 40%. Con la proposta del Pd è probabile che i collegi uninominali producano invece un certo livello di disproporzionalità e quindi un vantaggio -ma non decisivo - ai fini della governabilità. Ma la proposta non sarà approvata.
È da tempo che si sa che Berlusconi non vuole i collegi uninominali. Una volta voleva almeno un sistema maggioritario. Oggi non vuole più neanche quello. È diventato un fervente proporzionalista di stampo decoubertiano. Il sistema maggioritario nella versione proporzionale con premio di maggioranza gli andava bene quando aveva possibilità di vincere. Adesso che questa possibilità è svanita gli interessa solo partecipare. Quindi un sistema proporzionale gli va benissimo. Da abile negoziatore qual è, farà valere il suo modesto pacchetto di voti al tavolo delle trattative post-elettorali. Gli basterà per fare e disfare i governi come un novello Ghino di Tacco. Perché dovrebbe sostenere la proposta di Renzi?
Il M5s è sulle stesse posizioni di Forza Italia. Anche ai pentastellati i collegi uninominali non vanno bene. In primo luogo non hanno una classe politica locale qualificata. Fanno fatica a selezionare candidati credibili e competitivi. Il brand delle cinque stelle funziona meglio in una competizione nazionale focalizzata su Grillo e alcuni leader nazionali conosciuti. In secondo luogo non sono interessati a un sistema in cui gli altri partiti possono fare accordi di desistenza tra loro nei collegi. Il Movimento accordi non ne fa, né prima né dopo il voto. Quindi meglio anche per loro un sistema proporzionale di lista.
In breve, non esiste oggi in questo parlamento un consenso diffuso per fare una riforma elettorale che serva al paese. Esiste invece il rischio che si crei una maggioranza ad hoc per fare una riforma che serva solo ai partiti, usando come alibi l’armonizzazione.
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