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Tribunale sorveglianza dice no a scarcerazione Riina: boss resta in ospedale

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Tribunale sorveglianza dice no a scarcerazione Riina: boss resta in ospedale

Il tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare presentata dai legali del
boss Totò Riina. Riina quindi resta detenuto al 41bis nel reparto riservato ai carcerati dell’ospedale di Parma. Alla richiesta dei legali, motivata da ragioni di salute del boss, si era opposto il pg di Bologna Ignazio De Francisci. «Totò Riina rimane in ospedale ma è una ordinanza ampiamente ricorribile, e come tale sarà oggetto di ricorso» ha dichiarato il legale del boss, l’avvocato Luca Cianfaroni.

Giudici: non sarebbe curato meglio altrove
Nell’ordinanza con cui hanno rigettato le istanze di differimento della pena , i giudici del tribunale di Sorveglianza di Bologna motivano la loro decisione scrivendo che Riina «non potrebbe ricevere cure e assistenza migliori in altro reparto ospedaliero ossia nel luogo in cui ha chiesto di fruire della detenzione domiciliare» . Per i giudici è «palese» a Parma «l’assoluta tutela del diritto alla
salute sia fisica che psichica del detenuto». E questo «a fronte di idonea sistemazione, da oltre un anno e mezzo, nel reparto detentivo ospedaliero ossia in stanza dotata di tutti i presidi medici e assistenziali necessari alla cura di una
persona anziana» affetta da varie patologie. Riina, scrivono ancora i giudici, «viene assistito giornalmente da un fisioterapista» e «dispone quotidianamente, senza necessità di spostamento alcuno, di un importante intervento assistenziale espressamente finalizzato al mantenimento della residua funzionalità muscolare».

La richiesta di riesame da parte della Cassazione
La sentenza arriva dopo che lo scorso 5 giugno la Cassazione per la prima volta aveva aperto al ricorso della difesa di Riina (che da anni chiede il differimento della pena o i domiciliari per motivi di salute) annullando il primo provvedimento del tribunale dopo avere evidenziato l’esistenza di un «diritto a morire dignitosamente» che va assicurato al detenuto anche se il detenuto in questione si chiama Totò Riina, capo dei capi di Cosa Nostra, condannato per le bombe negli anni del terrore degli attentati mafiosi e per la strage di Capaci. Di qui la necessità per il giudice, evidenziata dalla Cassazione, di valutare sulla sua permanenza in carcere tenendo conto di questo principio e, nel caso, motivare espressamente il suo parere contrario.

Il tribunale non aveva ritenuto che vi fosse incompatibilità tra l’infermità fisica di Riina e la detenzione in carcere, visto che le sue patologie venivano monitorate e quando necessario si era ricorso al ricovero in ospedale a Parma. Ma la Cassazione aveva sottolineato, a tale proposito, che il giudice deve verificare e motivare «se lo stato di detenzione carceraria comporti una sofferenza ed un'afflizione di tale intensità» da andare oltre la «legittima esecuzione di una pena». E aveva evidenziato come non emergesse dalla decisione del giudice in che modo si fosse giunti a ritenere compatibile con il senso di umanità della pena «il mantenimento il carcere, in luogo della detenzione domiciliare, di un soggetto ultraottantenne affetto da duplice
neoplasia renale, con una situazione neurologica altamente compromessa», che non riesce a stare seduto ed è esposto «in ragione di una grave cardiopatia ad eventi cardiovascolari infausti e non prevedibili».

Sequestrati beni per oltre un milione a Riina
Intanto oggi i carabinieri del Ros e quelli del comando provinciale di Palermo e Trapani hanno sequestrato a Riina e ai suoi familiari beni per un valore complessivo di circa 1,5 milioni di euro. Il provvedimento riguarda società, una villa, 38 rapporti bancari e, soprattutto, numerosi terreni del padrino corleonese. L’inchiesta nasce dai redditi dichiarati negli anni da Riina e dai suoi congiunti da cui è stato possibile ipotizzare l'utilizzo di mezzi e di risorse finanziarie illecite.

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