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Aiuti, sicurezza e rapporti economici: la «rete» italiana nei…

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emergenza migranti

Aiuti, sicurezza e rapporti economici: la «rete» italiana nei Paesi del Sahel

A sud del Mediterraneo, si delinea un disegno di strategia geopolitica dell’Italia concentrato non solo sulla Libia. È più ampio: riguarda numerosi stati africani dove negli ultimi mesi il governo guidato da Paolo Gentiloni ha fatto visita, ha definito intese, si è impegnato con risorse umane e finanziarie. Un’azione in linea con quella intrapresa dal suo predecessore, Matteo Renzi. Gentiloni proprio due giorni fa ha rilanciato l’importanza del Fondo fiduciario Ue per l’Africa in una lettera al presidente della Commissione, Jean Claude Juncker. Se si uniscono i punti dei viaggi fatti nel continente africano dall’esecutivo si scopre una rete di rapporti pianificati su obiettivi dove la questione migranti è solo un – importante - tassello. «Occorre, intanto, una sorta di cintura di cooperazione e sicurezza che stiamo già stendendo in molti Stati» spiega il viceministro agli Affari Esteri, Mario Giro. «Abbiamo alcune decine di carabinieri già dislocati in Mali, Niger, Burkina e Somalia in accordo con i governi locali».

Sfida ai trafficanti del Sahel
Di alcuni giorni fa è la consegna in Gambia di quaranta fuoristrada per i controlli alle frontiere fatta dal dipartimento di Ps, guidato da Franco Gabrielli. «Dobbiamo connettere gli interessi nazionali italiani con quelli di origine e transito: Niger, Burkina, Ciad, Mauritania, Sudan. I flussi sono, ribadisco, una grande questione umanitaria. Ma anche il segno della sfida di trafficanti, terroristi e organizzazioni criminali contro le nazioni fragili del Sahel e dell’Africa occidentale».
L’insidia più grave, per Giro, è «la nascita di nuove “libie”: altri stati falliti, se persiste la sordità europea e non matura un’adeguata consapevolezza italiana». La risposta può essere così concepita: «L’Italia dovrebbe valutare l’impiego di forze di sicurezza in appoggio a quella del G5 Sahel in funzione di formazione e training. Un supporto – sottolinea Giro - non in funzione di un’operazione militare, ma di appoggio e training delle forze dei paesi stessi, di pattuglie miste e di controllo delle vie di comunicazione dei flussi. Il modello è il Libano e non l’Afghanistan». Lo stesso G5 Sahel sta formando la sua forza comune per controllare le frontiere.

Aiuti diretti agli Stati
L’Italia, oltre all’aumento della cooperazione con le Ong, ha già fornito finanziamenti diretti agli Stati: «Ammontano a 50 milioni al Niger e a breve 10 al Ciad, 5 al Burkina e 5 alla Mauritania». Strategico, poi, l’accordo con il Ciad, il più grande e forte stato del G5 Sahel. Il viceministro agli Affari esteri è stato in visita circa un mese fa, poi il suo presidente Idriss Déby «è venuto in visita a Roma e ha incontrato Gentiloni e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Con il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha firmato un accordo di cooperazione militare – sottolinea Giro – può preludere a un impegno italiano in quell’area sia in azione congiunta con le forze nazionali, sia con quelle comuni del G5».

La “diplomazia economica” di Alfano
Ma il profilo di sostegno di sicurezza è l’altra faccia di una prospettiva economica per l’Italia «con opportunità enormi per il nostro sistema manifatturiero, come dimostrano i numerosi eventi di “diplomazia economica” del ministro Angelino Alfano». Testimoniata, del resto, dai diversi viaggi fatti da Giro in Africa con le imprese, anche con il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda. «L’Italia è il terzo paese europeo tra gli investitori e siamo cresciuti molto nell’ultimo triennio». Certo, occorrono fondi, quelli europei soprattutto: ci sono, in parte, ma non bastano. «Il cosiddetto Trust fund La Valletta ammonta a 2,8 miliardi e Gentiloni ne ha chiesto ora il rifinanziamento a Juncker. Ma essenziale è l’External Investment Plan, il cosiddetto Migration Compact proposto da Calenda che punta anche sugli investimenti privati e può diventare un volano per oltre 40 miliardi. Abbiamo anche creato il Fondo Africa, di carattere nazionale italiano, pari a 200 milioni, che speriamo sia rifinanziato».

Secondo il viceministro «occorre una politica di più lungo termine: siamo troppo abituati all’immediato e non dobbiamo perdere la consapevolezza che la sicurezza vera si costruisce nel tempo e assieme agli africani. Per questo il nuovo impegno italiano in Africa è una strategia di più ampio respiro». A settembre, il prossimo viaggio di Giro in Repubblica Centrafricana: «C’è bisogno di pace e da lì possono partire i nuovi flussi».

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