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AUTONOMIA E FISCO

I referendum fra parole d’ordine e realtà: il «residuo fiscale» non cambia di un euro

È stato un motore potente per il voto referendario di ieri, ma il «residuo fiscale», cioè la differenza fra le tasse versate dai cittadini e il ritorno in termini di spesa per servizi sul territorio, è destinato a rimanere immutato; anche dopo aver negoziato le «ulteriori forme di autonomia» chieste a gran voce dalla maggioranza dei veneti e da una minoranza consistente dei lombardi. Per due ragioni: una costituzionale e una matematica.

Le regole della Costituzione
Tutto parte dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, scritto nel 2001 con la riforma del Titolo V targata centrosinistra. E dal punto di vista finanziario, quel comma non si occupa di entrate fiscali, ma di spese (per servizi). In pratica, la regola disciplina la possibilità per la Regione di chiedere più autonomia, all’interno di due elenchi: le 20 «competenze concorrenti» fra Stato e territori, dal commercio con l’estero alla ricerca passando per professioni ed energia solo per fare qualche esempio, e tre «competenze esclusive» dello Stato, cioè giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente.

La traduzione pratica
Per attuare questa regola bisogna passare da una trattativa fra lo Stato e la Regione interessata. La Regione chiede le competenze, lo Stato ne misura il costo (a partire dai dati della Ragioneria generale che calcolano la spesa sul territorio per ogni funzione pubblica) e di conseguenza aggiusta il quadro delle risorse al nuovo pacchetto di compiti accordato all’amministrazione territoriale.

L’esempio pratico
Il meccanismo, insomma, parte dalla spesa e non dalle entrate, e non modifica i confini del residuo fiscale. Per capirlo basta vedere che cosa succederebbe attuando l’articolo 116 della Costituzione nel caso di una regione che oggi paga 1.000 di tasse e riceve 700 in termini di servizi, con un residuo fiscale da 300. La Regione potrebbe ricevere per esempio nuove funzioni per un costo da 200, accompagnate dalle risorse (200, appunto) necessarie a esercitarle. Il nuovo “bilancio fiscale” del territorio vedrebbe quindi un’entrata da 1.200 e una spesa da 900, con un residuo fiscale immutato a 300.

Il dividendo dell’efficienza
La sfida si gioca quindi altrove, con la possibilità per la Regione di ridurre (poniamo da 200 a 150) la spesa necessaria a svolgere le funzioni trasferite, ottenendo quindi un dividendo di efficienza da 50. È questo l’obiettivo vero dell’articolo 116: più concreto, anche se politicamente meno efficace rispetto alla battaglia sul «residuo fiscale».

I tempi
Anche sul calendario necessario ad attuare le richieste espresse ieri da veneti e lombardi non è il caso di nutrire aspettative eccessive. Richieste come quella di trattenere sul territorio i 9/10 delle entrate fiscali, scritta all’articolo 2 del progetto di legge del Veneto, prefigura una trattativa lunga con il governo centrale. E siccome nella legislatura che volge al termine non c’è spazio per molto altro rispetto alla manovra e ai decreti collegati, la palla toccherà al parlamento che uscirà dalle elezioni politiche di primavera. Quando l’eventuale accordo con il governo dovrà farsi strada in un quadro politico frammentato alla ricerca della maggioranza assoluta in entrambe le Camere chiesta dalla Costituzione per attuare le intese sulle competenze.

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