Svezia battuta 2-1, l’Italia si qualifica alla fase finale. Tranquilli, non abbiamo bevuto per smaltire la delusione post San Siro: stiamo semplicemente esercitando la memoria. Non parliamo dello sciagurato playoff mondiale che ci ha sbattuto fuori da Russia 2018 prima che cominciasse, ma di un match degli Europei Under 21 del 2009, disputati per l’appunto nel Paese scandinavo. L’Italia, la Nazionale più titolata della competizione giovanile con ben cinque ori, ultimo dei quali nel 2004, è tra le favorite della vigilia. In panchina c’è Pierluigi Casiraghi. Nel proprio girone gli azzurri si sbarazzano dei padroni di casa con un gol di scarto. Per la Svezia segna Toivonen che ci siamo ritrovati contro nello sciagurato doppio match disputato tra venerdì e lunedì. Per noi marcano il cartellino Balotelli e Acquafresca. «Questi ragazzi tra qualche anno ci faranno vincere qualcosa di importante», è il sentire comune. Nei bar come sui giornali. Purtroppo non è così che andranno le cose: quei ragazzi all’Europeo usciranno in semifinale contro la Germania, destinata a vincere la competizione. Quella Nazionale, che dopo qualche anno avrebbe dovuto vincere qualcosa di importante, passato qualche anno è diventata la metafora perfetta della generazione perduta del calcio italiano. Rivediamola uomo per uomo.
Bocchetti e Criscito, «eredi» di Cannavaro
Lo schema è di quelli che privilegiano lo spettacolo: 4-3-1-2. In porta c’è Consigli, giovanotto di belle speranze all’epoca all’Atalanta, oggi al Sassuolo, uno da sempre a un passo dal grande salto. Che non c’è mai stato in carriera. In difesa a destra Motta, pure lui scuola Atalanta, grandi occasioni prima alla Roma, poi alla Juve. Non colte: al momento gioca nell’Almeria, squadra di seconda divisione spagnola.
Centrale destro Andreolli, uno che entra ed esce dai club che contano (Inter, Roma, Siviglia, ancora Inter) da quest’anno al Cagliari di Lopez. Che non è esattamente il Cagliari di Gigi Riva. Centrale ed esterno sinistro due genoani naopoletani: Bocchetti e Criscito. Mezza serie A se li contende ma patron Preziosi batte cassa. Questi due sono gli eredi dei fratelli Cannavaro, mica pizza e fichi. Alla fine approdano in Russia, Criscito allo Zenit e Bocchetti prima al Rubin Kazan e poi allo Spartak Mosca, con tanto di parentesi breve e sfortunata in casa Milan. Laggiù pagano bene, a quanto pare. E così entrambi scompaiono dai radar come il sottomarino Ottobre Rosso.
Cigarini come Pirlo
A centrocampo c’è innanzitutto Marchisio, una bandiera della Juventus. Intendiamoci: qui c’è poco di che scherzare perché sono stati gli infortuni a pregiudicare un cammino che per capacità tecniche avrebbe senza dubbio meritato. Speriamo possa tornare ai suoi livelli e riprendersi la Nazionale. Noi per primi ne abbiamo bisogno. Il regista è Cigarini, promessa dell’Atalanta. Le cronache del tempo lo disegnano come l’erede di Pirlo. A Napoli avrà l’occasione della vita l’anno successivo. Non saprà coglierla e finirà per sempre relegato nell’alveo delle squadre di seconda fascia. Esterno di sinistra De Ceglie, promessa juventina, fluidificante con gli occhi di ghiacchio come fu il «fidanzato d’Italia» Antonio Cabrini. Al contrario di quest’ultimo, con la maglia bianconera ha sempre fatto fatica a trovare spazi, ci ha provato all’estero (Olympique Marsiglia) ma senza esiti. Oggi è svincolato.
Il fenomeno Balotelli
Veniamo all’attacco. Il fantasista si chiama Sebastian Giovinco, promessa juventina. In prestito all’Empoli è un fenomeno, con la maglia bianconera no. Braccino corto? Può essere. Oggi ha 30 anni e da due sverna nel Toronto. Dove l’inverno è lungo e rigido. C’era una volta la formica atomica. La seconda punta è Acquafresca, all’epoca al Cagliari. In carriera, quando dalle squadre di seconda fascia è passato a quelle di fascia intermedia, non è stato fortunatissimo e la sua carriera si è avvitata. Per rintracciarlo vi tocca sconfinare nella Svizzera francese, fino a Sion. E veniamo al centravanti.
Nel suo ruolo era destinato a diventare uno dei cinque più forti al mondo. Di occasioni ne ha avute a ripetizione: partiva bene (all’Inter, al Manchester City, al Milan, al Liverpool, in Nazionale), correva veloce e finiva fatalmente per schiantarsi contro i suoi limiti caratteriali. La sua biografia, per quanto ancora breve, suona un po’ come un poema epico cavalleresco: Le donne, i cavalier, l’arme, gli amori. Adesso si gode il sole di Nizza ma tutto sommato ha ancora 27 anni. Recuperabile? Il pronostico è impossibile quanto le sue pettinature. Si chiama Mario Balotelli ed è senza dubbio il leader della Nazionale della generazione perduta. Ci manca molto. Nel senso che ci manca il giocatore che sarebbe potuto diventare. Il fuoriclasse che lascia il segno a Russia 2018. Mondiale che invece - noi come lui - vedremo da casa. Lui, al contrario nostro, a strapiombo sul mare.
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