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Cene, gadget e 2xmille: così i partiti cercano di finanziarsi

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DOPO L’ABOLIZIONE DEI RIMBORSI PUBBLICI

Cene, gadget e 2xmille: così i partiti cercano di finanziarsi

Il Pd dà la caccia ai parlamentari morosi (ma anche ex passati con Mdp) , Silvio Berlusconi ha da tempo chiarito che chi non è in regola con i contributi al partito non verrà ricandidato e il Movimento 5 Stelle introduce una multa (100mila euro) per deputati e senatori che dovessero “tradire” il partito. Sono segnali rivelatori di una campagna elettorale inedita: la prima nella quale i partiti sanno che non potranno contare, alla fine della competizione, su rimborsi elettorali, aboliti con una legge voluta dal governo di Enrico Letta. E allora si raschia il barile e ci si ingegna per trovare nuove fonti di finanziamento.

La polemica Pd-Grasso
La polemica tra Pietro Grasso e il tesoriere del Partito democratico Francesco Bonifazi si può leggere anche così. Da una parte il presidente del Senato, che ha lasciato i democratici per mettersi alla guida di Liberi e uguali, dall’altro il suo ex partito che gli chiede di versare gli arretrati per 82.350 euro. Ne segue aspro confronto con scambio di lettere pubblicate sui giornali. C’è sicuramente la polemica tra nuovi avversari a sinistra, ma anche la difficoltà di un partito che ha chiuso l’ultimo bilancio con un risultato negativo di 9 milioni di euro. E infatti anche gli altri inadempienti (chi non ha pagato i 1.500 euro mensili previsti dallo statuto) sono stati sollecitati. Risultato: per ora è tornato in cassa mezzo milione di euro.

Il canale del 2x1000
Per il Pd, a differenza degli altri partiti, comincia a funzionare il canale del 2xmille: dei complessivi 11,7 milioni di euro destinati dagli italiani ai partiti nelle dichiarazioni dei redditi 2016 (anno fiscale 2015) ben 6,4 sono andati al partito guidato da Matteo Renzi. Il segretario ha trainato le donazioni attraverso la sua fondazione Open (al 30 giugno scorso, ultimo dato disponibile, risultato 5.542.902,49 euro) ma - è la critica che gli viene mossa - ha finito per indebolire il sostegno degli esterni al partito. L’ex premier ha poi lanciato alcune iniziative di “fundraising” come quella per sostenere il viaggio in treno con cui alla fine dello scorso anno ha girato l’Italia: possibilità di donazioni on line da 5 a 50 euro e, nell’ultimo vagone, un negozio dove si potevano acquistare gadget democratici (magliette, tazze ma anche il libro di Renzi “Avanti”).

Nel 2014, Renzi organizzò anche cene elettorali: una a Milano, l’altra a Roma. Nella capitale, nel Salone delle Tre fontane all’Eur, i seicento partecipanti pagarono almeno mille euro per dare il loro sostegno al partito del neosegretario. Di quell’evento si parlò molto in seguito per un altro particolare: vi prese parte anche Salvatore Buzzi, il “ras” delle cooperative romane, in seguito coinvolto nell’inchiesta Mondo di Mezzo e condannato in primo grado a 19 anni di reclusione.

Opzione cene elettorali gettonata anche nel centrodestra
Le cene elettorali vanno anche dalle parti del centrodestra. A dicembre Silvio Berlusconi ha aperto la sua villa di Arcore a una ventina di imprenditori disposti a pagare 10mila per finanziare la campagna elettorale di Forza Italia. Anche qui le polemiche non sono mancate perché tra i partecipanti compariva Massimo Pessina, socio della casa editrice che pubblicava (fino alla sua chiusura) L’Unità. Anche il Cavaliere, principale finanziatore del suo partito ormai a secco di fondi (secondo i calcoli dell’Espresso in dieci anni ha versato ben 109 milioni di euro), quinta persona più ricca in Italia secondo la classifica di “Forbes”, ha richiamato all’ordine i suoi parlamentari: già a maggio avvertì che quelli non in regola con i contributi sarebbero stati esclusi dal Congresso nazionale e, partita la campagna elettorale, ha fatto capire che non aver debiti arretrati con l’amminitrazione azzurra è uno dei requisiti per poter sperare di essere riammessi in lista.

La strategia del M5s
Dalle parti del Movimento 5 Stelle, invece, ci si muove in anticipo. In attesa di
una «norma costituzionale che impedirà a chi cambia casacca di
restare in parlamento» che i 5 stelle mettono in cantiere se andranno al governo, Luigi Di Maio ha annunciato: «I nostri avvocati sono al lavoro per permettere ai nostri candidati di sottoscrivere un impegno che li obbliga a pagare una multa da 100mila». Considerando che nella legislatura che si è appena chiusa il movimento fondato da Beppe Grillo ha “perso” 39 tra deputati e senatori, la multa avrebbe garantito poco meno di 400mila euro.

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