Nel caleidoscopio dell’Irpef pre-elettorale, da sinistra a destra il numero delle aliquote cresce o si riduce a seconda delle proposte, che però sono accomunate da un filo comune: tutte devono fare conti più o meno problematici con coperture che faticano a trovare un assetto definitivo. L’impresa non è semplice: in gioco ci sono costi complessivi per 121 miliardi di euro, e 28 di questi devono ancora trovare una via di finanziamento alternativa al deficit. Senza contare che non tutte le voci di entrata stimate nelle diverse ipotesi dei partiti sembrano garantire la stessa solidità. Tanto che le discussioni sugli scenari fiscali si animano anche all’interno delle coalizioni: Berlusconi ha spiegato ieri a Radio 24 che anche l’aliquota della futuribile Flat Tax dipenderà dalle compatibilità economiche, mentre da sinistra Emma Bonino fa sapere di giudicare oggi «impossibile» qualsiasi abbattimento delle tasse.
Il M5S “cura” il ceto medio
L’ultima «curva Irpef» nuova di zecca a comparire sulla scena della campagna elettorale è quella targata M5S (si veda anche Il Sole 24 Ore di ieri), che si concentra soprattutto sul ceto medio e riduce da cinque a tre le aliquote con la seguente progressione: no tax area da 10mila euro (oggi quella di base è a 8.174 euro), richiesta del 23% da 10mila a 28mila, 37% da 28mila a 100mila e 42% sopra questa soglia. I benefici più consistenti arriverebbero alle fasce di reddito più basse (grazie anche all’ampliamento dell’area esente) e nella fascia fra 55mila e 100mila euro, oggi soggette rispettivamente al 41 e al 43 per cento. Questa distribuzione “limita” tutto sommato i costi complessivi dell’ipotesi, che si attesterebbero intorno ai 13 miliardi: l’addio al bonus Renzi ne porterebbe 10, mentre gli altri andrebbero cercati con la revisione degli sconti fiscali attuali (tax expenditures).
LeU in controtendenza
A completare il quadro delle proposte fiscali è attesa nei prossimi giorni quella di Liberi e Uguali che, in controtendenza, punta ad aumentare il numero di scaglioni e aliquote per ricostruire una progressività messa in discussione oggi anche dall’incrocio disordinato di sconti fiscali e aliquote alternative (come le cedolari su affitti e rendite finanziarie). Cuore della proposta è rendere più lineare il trattamento per il ceto medio e medio basso, oggi soggetto ai “salti” di pressione fiscale determinato dal passaggio da zero al 23% sopra la no tax area e dal 27 al 38% che si incontra a 28mila euro di reddito. L’aliquota più bassa, secondo le tabelle in corso di definizione, scenderebbe al 15%, una progressione più morbida seguirebbe la dinamica dei redditi e una compensazione parziale in termini di gettito arriverebbe dai (pochi) redditi alti soggetti a un’aliquota più elevata di quella attuale. Le nuove aliquote andrebbero a braccetto con una riforma degli sconti per le famiglie, attraverso l’addio alle detrazioni attuali e agli assegni famigliari sostituiti con un’erogazione su misura di ogni nucleo sulla base della sua complessiva situazione economica. Le detrazioni per lavoro autonomo e dipendente, infine, diventerebbero fisse invece di scendere al crescere del reddito come fanno oggi. Costo complessivo vicino ai 20 miliardi, che andrebbero coperti da una «rigorosa» lotta all’evasione a colpi di trasmissione telematica di tutti i dati di fatture e scontrini.
Dem al lavoro sul Pacchetto famiglia
Anche il capitolo fiscale del programma Pd, che dovrebbe essere presentato domani, si snoda sulla sostituzione delle detrazioni attuali con un assegno per ogni figlio, modulato in base all’età (250 euro fino a 2 anni, 150 da 3 a 17 e 108 da 18 a 25), con un decalage fra i 55mila e i 100mila euro. Una mossa da 23 miliardi, coperta per 14 dalla cancellazione di detrazioni attuali, assegni famigliari e bonus bebé. I nove miliardi che restano sarebbero a carico di un avanzo primario minore del previsto (e quindi di maggior deficit). Proprio l’impatto sul deficit tiene apertissima la partita della Flat Tax nel centro-destra. La proposta di Forza Italia (aliquota al 23% e no tax area fino a 12mila euro) avrebbe un costo lordo da 65 miliardi, coperti per 50 dalla cancellazione delle detrazioni e del bonus Renzi.
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