Reddito di cittadinanza, flat tax, bonus degli 80 euro, pensioni minime. Quando si scorrono annunci e programmi per le elezioni 2018, c'è una parola (o una categoria) che appare di meno: i giovani. Fra le promesse in vista del voto del marzo, tradotte dal Sole 24 Ore in un conto teorico di 130 miliardi, le questioni che riguardano la fascia di elettorato sotto ai 30 anni sembrano relegate più ai margini che al centro delle proposte. Anche se l'agenda sarebbe fitta, dal diritto allo studio agli affitti, fino all'emergenza sociale di disoccupazione e inattività di chi è in uscita da scuole secondarie e università. Restringendo il campo sul solo lavoro giovanile, le iniziative che spuntano da promesse o bozze programmatiche sembrano abbastanza sporadiche. E non stupisce che la propensione al voto sia in calo soprattutto nel nuovo blocco elettorale, dai «ragazzi del ’99» richiamati dal presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno ai 25-29enni intrappolati nella condizione di Neet.
Se nei programmi si fa fatica a dire “giovani”
Il Partito democratico di Matteo Renzi, nel suo manifesto Italia 2020, cita i «giovani» o la «questione giovanile» un totale di quattro volte, senza aggiungere ricette specifiche. Noi con Salvini, nella sua Carta dei valori, zero. Pochi cenni ai giovani anche fra le priorità dichiarate con più frequenza da Forza Italia, sul cui sito capeggiano ora un annuncio sulle pensioni («Pensioni minime a 1000 euro al mese») e contro il disegno di legge dello Ius soli («Una legge sbagliata al momento sbagliato»). Il Movimento cinque stelle menziona la questione giovanile per un totale di quattro volte nel suo programma sul lavoro, in riferimento all'innalzamento dell'età pensionabile. Liberi e Uguali deve ancora definire un manifesto unitario, anche se alcuni suoi esponenti hanno accennato al tema dell'aumento dei salari e dell'abolizione delle tasse universitarie.
Contabilità a parte, le iniziative emerse appaiono meno strutturate rispetto alle promesse - miliardarie - su nodi tecnici come la rimodulazione dell’Irpef (conto da 12-15 miliardi di euro secondo l’analisi del Sole 24 Ore) o l’abolizione della legge Fornero (che costerebbe, da sola, 140 miliardi). Il Pd rivendica i risultati del Jobs Act e si propone di «combattere la disoccupazione partendo da quella giovanile e femminile». Il Movimento Cinque Stelle parla della «staffetta generazionale come strumento di riduzione dell'orario del lavoratore vicino alla pensione», a fronte della «assunzione di giovani, al fine di favorire l'occupazione giovanile e accompagnare i lavoratori anziani verso l'addio alla professione». Forza Italia ha insistito sull’urgenza di creare «più lavoro e meno tasse» e parlato di sgravi per le assunzioni, ma l’ipotesi non si è concretizzata con il dettaglio riservato alla flat tax (una tassa con aliquota fissa al 20% in sostituzione dei vari scaglioni Irpef) o all’abolizione graduale dell’Irap (l’imposta regionale sulle attività produttive). Anche guardando a ritroso, il bilancio è fermo agli sgravi sulle assunzioni stabili di under 35 al via da gennaio (dal 2019 sarà riservata agli under 30) e l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria dal 2015.
Cresce l’astensionismo: 1 giovane su 2 non voterebbe
Nel vuoto di proposte, intanto, cresce l’astensionismo. In occasione delle ultime elezioni regionali, il blocco di elettori tra i 18 e i 29 anni sta scivolando verso soglie sempre più basse. La tendenza è in linea con quella delle altre fasce anagrafiche, ma si accentua ancora di più quando si entra nel territorio dei cosiddetti millennials. Secondo una rilevazione di Demòpolis, un istituto di ricerca, a recarsi alle urne per la prossima consultazione potrebbe essere appena il 62% degli aventi diritto.
Tra i nati dopo il 1980, però, l’asticella scende ancora: «L'astensione cresce in modo rilevante tra quanti in Italia hanno meno di 30 anni: oggi non voterebbe alle politiche circa il 50% dei giovani elettori tra i 18 ed i 29 anni » spiega al Sole 24 Ore Pietro Vento, direttore dell’istituto. Va anche peggio alla fiducia nei partiti, crollata fino al 4%. «Il minimo storico» osserva Vento. Secondo l’istituto, la disaffezione dipende dall’idea di fondo che la politica abbia perso contatto con i cosiddetti «problemi reali», declinati anche a seconda delle anagrafe. «Alcuni milioni di italiani sembrano in attesa di un segno dalla classe politica che possa indurli a tornare alle urne - dice Vento - Di valide ragioni per tornare a votare con convinzione un partito». Parlando di giovani, e ai giovani, bisognerebbe capire quali.
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