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Dossier | N. 21 articoli Olimpiadi invernali PyeongChang 2018

Da Torino 2006 a PyeongChang 2018: il filo (d’oro) di Arianna Fontana

E dire che in Corea del Sud neanche avrebbe dovuto esserci. Perché dopo una vita passata sui pattini a disegnare curve, sprintare e a rischiare le dita sotto le lamine delle avversarie, 27 anni devono sembrarti non pochi, o comunque abbastanza per provare a scrivere qualche altro capitolo della tua vita.
Ma il sogno d'oro ritornava nelle notti lontane dalla pista, e allora Arianna Fontana – caldamente affettuosamente sollecitata dal presidente del Coni Malagò... - ha deciso di salirci su, su quel volo per PyeongChang. Perché labile è il confine tra sogno, desiderio e ossessione. E tale stava diventando quell'oro olimpico, per la valtellinese di Polaggia di Berbenno: dopo un bel gruzzolo di medaglie europee e mondiali, dopo l'argento e i 4 bronzi olimpici (uno dei quali, in staffetta, la rese a Torino 2006 la più giovane medagliata olimpica della storia azzurra, a 15 anni e 314 giorni), quell'unico bagliore dorato che mancava dalla sua bacheca stava diventando un pensiero ricorrente, dominante, un tabù da sfatare nell'unico modo possibile, cioè vincere.

Con l'oro sui 500 metri Arianna di tabù, invero, ne sfata anche un altro: trionfare, dopo aver sventolato verso il cielo il tricolore nella cerimonia d'apertura. Stress che si somma a stress, quello di portare il nostro davanti agli occhi del mondo. Tra chi lo ha sventolato prima di lei, neppure Valentina Vezzali, Federica Pellegrini e Armin Zoeggler, erano riusciti ad abbinare quell'onore all'oro individuale. Invece Arianna c'ha preso gusto, e invece di lasciare ha raddoppiato: tricolore al cielo durante la cerimonia, tricolore a sventolare (pur bagnato da infinite lacrime di gioia) in pista subito dopo il trionfo.

Premio strameritato per lei che, fin da piccolina, s'è dedicata allo short track in quell'enclave di questa disciplina che è la Valtellina, seguendo i fratelli più grandi e improvvisando piste ghiacciate a forza di secchiate d'acqua sui gelidi campi degli oratori nei paesini della vicina Valmalenco. Brava in realtà anche con i pattini a rotelle, la Fontana, almeno fino alle scuole medie. Poi la scelta definitiva, il trasferimento a Bormio, gli allenamenti con la Nazionale e la frequentazione del liceo sportivo. La strada era segnata, e correva su due lamine tanto sottili quanto veloci.

Testarda e feroce, in pista e fuori, Arianna. Non finisce il liceo, ma si diploma comunque in materie scientifiche in una scuola privata; in squadra il suo caratterino provoca più di un malumore, ma è quello stesso carattere che la porta a scuotere l'ambiente dopo le medaglie di Sochi 2014 («voglio tecnici competente», il suo monito) e a pretendere la conferma dell'allenatore canadese Kenan Gouadec, ora da 7 anni riferimento suo e di tutto il gruppo. Unico riferimento inamovibile, per Ary, è la famiglia, genitori, fratelli, nonna Bruna, e poi lui, Anthony Lobello, ex collega italo-statunitense che ha sposato nel maggio 2014, su una spiaggia del lago di Como. Per lui si divide tra Courmayeur e Tallahassee, in Florida, città natale del consorte.

Ad Anthony ha dedicato uno dei suoi tatuaggi, che rappresenta onde e montagne, a simboleggiare un rapporto all'inizio burrascoso, ora forte e stabile. Sul suo corpo, poi, un'orca, un'aquila, uno squalo martello: «Ma i tatuaggi devono essere sempre dispari, quindi presto ne arriverà un altro» aveva dichiarato prima dei Giochi. Scommettiamo allora che il prossimo raffigurerà cinque cerchi pieni d'oro?

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