Quando nasci con gli sci ai piedi, sulle montagne della Val di Susa, e scopri di essere forte, anzi un campione, la cosa peggiore che ti possa capitare è scoprire di essere destinato a sbattere contro un muro. Anzi due: due dei più grandi sciatori di tutti i tempi, Gustavo Thoeni e Ingemar Stenmark. Che non solo ti ritrovi come rivali sulle piste di tutto il mondo, ma per di più fanno la staffetta uno con l'altro nei loro periodi migliori, con l'Italiano che vince quattro Coppe del Mondo e passa il testimone allo svedese, che riprende proprio da dove Thoeni aveva appena smesso.
Roba da ammazzare un toro, ma non Piero Gros, che proprio in quegli anni e nonostante la presenza dei due mostri sacri riesce a imporre la propria classe cristallina, legata alle discipline più tecniche: speciale e gigante. Non che si tratti di una cosa facile, perché ogni volta che esci dal cancelletto e ti butti tra i paletti a capofitto pensi a quei due, al destino maledetto che te li ha messi contro uno dietro l'altro, negli stessi anni, a toglierti una valanga di successi che altrimenti e senza discussione sarebbero stati tuoi.
Ma Gros ha classe, testa e cuore. Non si arrende, mai. Si butta a capofitto e ci prova ogni volta, a mettere le punte degli sci davanti a quelle del compagno di squadra. Senza sapere che, di lì a qualche anno, dalla Svezia sarebbe arrivato un erede anche più difficile da battere. Gros ci prova, a battere tutti, e ci riesce. Fin dall'inizio, nel 1972, quando ha solo 18 anni. Si butta a capofitto e vince i primi due slalom della carriera: è il vincitore più giovane nella storia dello sci alpino. A due anni dall'esordio vince la Coppa del Mondo, da spensierato ventenne che oltre a Gustavo deve regolare i tanti campioni della Valanga azzurra (Radici, Bieler, Pietrogiovanna, Stricker) e campioni come Hansi Hinterseer, Roland Collombin, Franz Klammer.
A fine carriera scopre di avere nel carniere 12 vittorie in Coppa del Mondo, con sette giganti e cinque speciali, con 35 podi totali che senza i due mostri avrebbero potuto essere altrettante vittorie. Dieci titoli italiani, una Coppa del mondo di Gigante e soprattutto quella Coppa del Mondo assoluta che solo Gustavo Thoeni (e un certo Alberto Tomba qualche decennio dopo) oltre a lui hanno saputo regalare all'Italia.
L'impresa più bella resta l'oro olimpico di Innsbruck, nel 1976. Tutti nello speciale si aspettano uno scontato duello tra Thoeni e Stenmark, che del resto l'anno prima si sono giocati la Coppa del Mondo assoluta proprio con l'ultimo speciale, un parallelo entrato nella storia dello sci.
Invece spunta Piero Gros: Stenmark, che aveva appena vinto sette slalom su sette in Coppa del Mondo, non riesce a fare lo Stenmark. E Thoeni, pur facendo il Thoeni, scopre alla fine che il compagno di squadra è riuscito a scendere più veloce di lui: due minuti, tre secondi e 29 centesimi per Gros, due minuti, 3 secondi e 73 centesimi per Thoeni. Un oro che vale una vita, perché quei due erano proprio di un altro pianeta. E per mettersi l'oro olimpico al collo Piero Gros fu "costretto" a batterli tutti e due. Senza quei due, avrebbe vinto molto di più. Ma anche quei due, senza Piero Gros, avrebbero avuto vita più facile.
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