Imprenditori, statali, dipendenti privati, Neet, studenti, casalinghe. A eccezione dei pensionati, comunque presenti, il Movimento cinque stelle ha conquistato la maggioranza dei voti in qualsiasi gruppo sociale. E non sarebbe stato possibile il contrario, viste le dimensioni del consenso (32,9%) e il dominio esercitato sull'intero bacino del centro-sud. Un'indagine di YouTrend, una società di ricerca e analisi elettorale, ha evidenziato la distribuzione quasi omogenea dei voti fra professioni e background diversissimi. Hanno dato la propria fiducia ai Cinque stelle il 19% dei pensionati, il 27% dei dipendenti del pubblico, il 30% degli imprenditori, il 37% dei dipendenti privati, il 38% degli studenti, il 46% delle casalinghe e il 47% dei disoccupati.
Neppure il titolo di studi sembra incidere troppo, visto che i Cinque stelle si sono accaparrati il 23,2% dei laureati, quota inferiore solo al 24,3% affluito fra gli elettori Pd. La trasversalità ricorda un po' quella delle - odiate - forze delle vecchia politica, il bersaglio numero uno della lotta all'establishment condotta dal partito delle origini. Con l'unica differenza, evidente, di un maggior appeal sui giovani: i Cinque stelle hanno guadagnato il 41% dei voti fra gli under 24 e il 38% fra gli under 34, scendendo sotto alla soglia del 30% solo fra gli elettori sopra i 55 anni.
Il collante: lavoro e legalità
Il quadro è talmente frammentario da mettere in crisi sia le vecchie che le nuove categorie politiche. Per quanto riguarda le prime, i Cinque stelle riescono a essere percepiti in simultanea come un partito «nazionale» e una forza di dirompenza. «Quello che li rende simili ai vecchi partiti, come la Dc, è il fatto di essere interclassisti e trasversali - spiega Roberto Biorcio, docente di Scienza politica alla Bicocca di Milano - La differenza più grande è che li votano i giovani e sono avvertiti come una forza di innovazione». Per quanto riguarda le nuove categorie, neppure l'etichetta di «populisti» funziona fino in fondo: «In genere i populismi sono di destra o di sinistra - dice Biorcio - In questo caso loro hanno fatto un punto di forza proprio del non avere un collocamento a sinistra o a destra, facendosi qualificare in base ai programmi». L'assenza di un orientamento univoco, però, rischia di farsi sentire in sede di scelta politica.
Come si riassumono 20 punti programmatici che attingono a background diversi, anche dal punto di vista ideologico? Le proposte del partito oscillano fra temi più vicini alla sensibilità di centrosinistra (come il contrasto alla povertà e alle disuguaglianze sociali) e altri che solleticano l'immaginario di centrodestra (come la sicurezza o il contrasto al «business dell'immigrazione»). Il collante tra i due estremi può arrivare dai argomenti meno etichettabili come lavoro e rispetto della legalità, spendibili sotto luci diverse fra gli elettori di entrambi gli (ex) schieramenti. «A parte l'argomento principe, il reddito di cittadinanza - spiega Biorcio - i Cinque stelle premono comunque sul contrasto alla disoccupazione e sicurezza: due temi che, a sec onda dei casi, possono fare breccia sia a sinistra che a destra».
Verso l'estremo centro
Anzi. Parte del successo dei Cinque stelle si spiega proprio con l'estraneità al dualismo fra centrosinistra e centrodestra. Un'analisi di Demos, un istituto di ricerca, ha evidenziato che l'elettorato del movimento di Di Maio si autocolloca al centro del vecchio arco parlamentare, sia pure con una leggera inclinazione a sinistra. Il risultato è frutto della conciliazione di posizioni conservatrici e progressiste nello stesso blocco di votanti. Anche se, ormai, destra e sinistra sono coordinate che dicono poco in cabina elettorale. «Il dato più interessante, infatti, è un altro: c'è un 38% che si posiziona proprio al di fuori dei vecchi schieramenti, che non ragiona con quelle categorie» dice Fabio Bordignon, docente di Scienza politica ad Urbino e ricercatore di Demos. Bordignon fa notare che l'unica inquadratura sensata è quello di un «estremo centro», inteso però in senso diverso da quello tradizionali. «Non parliamo di un polo di moderati - dice Bordignon - ma di una forza che guarda proprio oltre a destra e sinistra, nonostante accolga entrambi gli estremi. Dentro c'è un po' di Ukip (il partito indipendentista di destra di Nigel Farage, alleato ai “grillini” nell'Europarlamento ndr) e un po' di Podemos (un partito di sinistra spagnolo ricollocato sempre fra i populisti, ndr)».
Non è un caso che l'espansione dei Cinque stelle sia avvenuta in concomitanza con il crollo del voto “moderato”, inteso come il bacino di elettori rappresentati in Europa dai gruppi popolare, socialista e liberal-democratico (ossia il Ppe, il Pse e l'Alde). Secondo una stima del Centro italiano studi elettorali (Cise) della Luiss, i vecchi centrosinistra e centrodestra hanno perso per strada un totale di 18 milioni di consensi tra 2008 e 2018. La diaspora è stata capitalizzata soprattutto dai Cinque stelle, capaci di assorbire il 60% degli elettori in movimento, contro un 20% finito tra le sigle della destra radicale e un ulteriore 20% che ha ripiegato sull'astensione. Le ambiguità o la trasversalità, a seconda di come le si intende, sono comunque destinate a scadere. In caso di un'esperienza al governo, i Cinque stelle saranno obbligati ad attuare politiche che scontentino l'uno e l'altra anima del proprio bacino di consensi. Senza scomodare destra, sinistra o centro, il programma di una maggioranza non può piacere in blocco a un elettorato di estrazione così diversa. «In realtà il Movimento cinque stelle ha già dimostrato di saper superare i suoi tratti originali. Si è istituzionalizzato - spiega Bordignon - L'ultimo tabù che Di Maio vuol far cadere saranno proprio le alleanze. Lui è disponibile. Bisogna capire se anche gli altri lo sono: a furia di isolarsi, può darsi che la scelta ti si ritorca contro».
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