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Se nel rugby Macron non è un fan della Francia

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lo sponsor tecnico della nazionale italiana

Se nel rugby Macron non è un fan della Francia

L'accento è un'opinione, dice qualcuno, perciò puoi metterlo dove ti pare. Eppure a volte lo spostamento da una vocale all'altra comporta cambiamenti totali.

Il problema si è posto alla Màcron, azienda emiliana di abbigliamento sportivo, nella primavera del 2017. Quando Emmanuel Macron, con l'accento ovviamente sulla “o”, è stato eletto presidente della Repubblica francese. Poteva diventare un fattore di confusione ma Màcron si è difesa attaccando: con una serie di inserzioni pubblicitarie sulla prima pagina de L'Equipe, il maggiore quotidiano sportivo transalpino, per riaffermare la propria identità e farsi conoscere ancora meglio, senza rinunciare a un pizzico di ironia.

L'impresa italiana non ha dunque alcun motivo particolare per sostenere il XV de France, cioè la Nazionale francese di rugby, mentre si gode il derby ovale in programma sabato a Roma: di fronte Italia e Scozia, che hanno entrambe Macron come sponsor tecnico. Per quanto riguarda gli Azzurri si tratta di una scommessa appena fatta ma di lunga durata, un contratto di otto anni con un impegno economico di 1,5-2 milioni di euro all'anno tra contributo cash e fornitura di materiali. Con la Scozia invece il rapporto è ormai consolidato - sia per la Nazionale sia per i due superclub Glasgow Warriors ed Edinburgh - e vale 2,5-3 milioni annui.Tra gli sponsor tecnici delle squadre del Sei Nazioni Macron è l'unico che proviene da uno dei Paesi partecipanti: la neozelandese Canterbury è la partner di Inghilterra e Irlanda, la tedesca Adidas affianca la Francia e la statunitense Under Armour rifornisce il Galles.

Recentemente anche la Germania del rugby è entrata nel giro Macron. Dal gigante dormiente di questo sport non sono escluse sorprese, dice l'ad Gianluca Pavanello: «I tedeschi sono tanti, hanno i mezzi fisici ed economici, in più si sono messi a programmare. In una decina di anni potrebbero affermarsi come una realtà di primo livello».

Tornando a Scozia e Italia, la prima ha già dato risposte soddisfacenti: «Possiamo contare su un negozio “fisso” all'interno dello stadio di Murrayfield a Edimburgo, che rimane aperto tutti i giorni - spiega Pavanello -. In più quando gioca la Scozia si aprono dei temporary store, il che porta a incassare anche 130mila sterline in un pomeriggio. E dopo i Mondiali 2015, dove la Scozia ha raggiunto brillantemente i quarti di finale, abbiamo venduto più di 50mila maglie della Nazionale». Per questioni “logistiche” e anche di cultura legata all'abbigliamento sportivo non è pensabile, almeno a breve, di ripetere questi exploit con l'Italia. «Intanto però nei due punti vendita allestiti all'Olimpico per il match con l'Inghilterra abbiamo totalizzato 50-60mila euro. Come primo passo è andata bene. L'obiettivo non è arrivare ai volumi della Scozia ma avvicinarli. Si può puntare a 1,5-2 milioni di euro di vendite all'anno, considerando tutta la collezione dedicata al rugby azzurro. Contiamo sul gradimento dei tifosi e su una buona distribuzione. Poi, certo, qualche risultato positivo sarebbe di aiuto».

Il rugby è una delle vetrine di prestigio per Macron, che però sponsorizza una cinquantina di società di primo piano in vari sport, tra cui calcio, basket, volley e baseball. Sul versante calcio sono quattro le squadre di Serie A (Bologna, Lazio, Cagliari, Spal) e dall'anno prossimo si aggiungerà l'Udinese. Su scala europea l'Uefa - in un rapporto del 2016 - assegna all'azienda di Crespellano il terzo posto, alle spalle di Nike e Adidas, per diffusione del proprio marchio sulle maglie delle squadre professionistiche. Inoltre la stessa Uefa ha scelto proprio Macron come fornitrice di otto piccole federazioni (quelle di Andorra, Armenia, Bielorussia, Cipro, Far Oer, Liechtenstein, Lussemburgo e San Marino) nell'ambito di un progetto che si potrebbe definire di mutualità.

L'azienda “veste” circa 12mila società in tutto il mondo, con un volume d'affari che si deve per il 25% all'Italia, per il 65% al resto d'Europa (soprattutto Regno Unito e Paesi scandinavi) e per il 10% agli altri Continenti. Pavanello dipinge un quadro di crescita: «Il fatturato 2017 si colloca intorno agli 83 milioni di euro (+17% sul 2016) e per il 2018 l'obiettivo è arrivare a 100 milioni. Questi progressi hanno indotto il fondo di private equity Consilium a rimanere per altri due-tre anni il soggetto che detiene la maggioranza dell'azienda. Poi si potrà pensare a una Ipo per il collocamento sul mercato azionario». Sperando che magari anche le quotazioni del rugby italiano comincino a registrare con costanza il segno più.

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