L’accordo sulle presidenze è dato per fatto. Alla Lega andrà il Senato e al M5s la Camera. Matteo Salvini è stato chiaro: «Disposti a confrontarci con tutti sul programma, non sulle presidenze perché il Parlamento deve cominciare a lavorare il più presto possibile». Sui nomi però la partita non è chiusa. Nelle ultime ore ha preso quota che a sedere sugli scranni più alti di Palazzo Madama e Montecitorio siano i due vincitori delle elezioni, rispettivamente Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Se così fosse sarebbe la conferma che il tavolo sulle presidenze e quello del governo, al di là di quanto sostengano i protagonisti, sono le facce della stessa medaglia.
L’ipotesi di un accordo che vada al di là delle presidenze è confermato indirettamente dallo scambio di battute tra Roberto Maroni, contrario all’intesa con i grillini, e Salvini che a stretto giro gli ha risposto che nulla è «impossibile». Nel centrodestra resta forte la tensione. Il niet del M5s su paolo Romani (ma anche sul leghista Calderoli) alla presidenza del Senato ha fatto scattare l’ennesimo allarme. Salvini non vuole rompere la coalizione e per questo ha chiamato ieri Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni dando loro appuntamento per domani sera a Roma. Un vertice destinato a chiarire anzitutto la partita sulle presidenze dove per Palazzo Madama resta in pista anche Giulia Bongiorno.
L’opzione Salvini ieri però ha preso quota. A perorare per prima la sua elezione era stata la Meloni, come espressione del centrodestra. Il leader della Lega aveva però rifiutato perché il suo obiettivo principale resta Palazzo Chigi. Ma se la sua presidenza fosse frutto di un accordo anche con Di Maio, il quadro cambia perché i due di fatto avrebbero in mano il pallino della legislatura e quindi anche della sua durata. Capitolo quest’ultimo che fa venire più di qualche brivido a chi, come Fi, è uscito malconcio dalle elezioni e non ha alcuna voglia di tornare a breve al voto. Anche per questo Berlusconi sembra essere molto meno tranchant, rispetto ai giorni scorsi, sul rapporto con i grillini. «Per noi l’obiettivo principale è la governabilità e se si trova un’intesa su 3-4 punti decisivi con altre forze politiche ben venga la maggioranza», spiegava ieri un esponente di primo piano di Fi assai vicino a Berlusconi. Il Cavaliere gioca sul fattore tempo. È convinto che alla fine anche Salvini si renderà conto che riportare gli italiani alle urne, al contrario di quanto raccontano oggi i sondaggi, non paga e che sia necessario dare all’Italia un governo.
Anche Di Maio è molto attivo. Il candidato premier del M5s è convinto che il suo partito resta al centro del gioco e che dunque tutti dovranno farci i conti. Nessuna chiusura neppure con il Pd dove anche il capogruppo uscente, il renziano Ettore Rosato, conferma l’ipotesi di un referendum tra gli iscritti sulle possibili alleanze di governo sul modello della Spd tedesca.
Al momento le chance di un esecutivo che rappresenti una parte politica, sia pure vincitrice delle elezioni, sono bassissime. Né Salvini né Di Maio, i candidati premier di centrodestra e M5s, hanno i voti per insediarsi a Palazzo Chigi e qualora i due si accordassero per una maggioranza parlamentare gialloverde, certamente dovrebbero rinunciare reciprocamente alla premiership. Stessa rinuncia gliela imporrebbe un eventuale allargamento della loro maggioranza ad altre forze come ad esempio il Pd. Ipotesi che Salvini però non prende in considerazione e che invece è quella che più piacerebbe a Berlusconi. Di Maio invece guarda con interesse alle mosse dei dem e attende con pazienza le mosse del Colle. Nel frattempo vuole però assicurarsi la guida di un ramo del Parlamento, dovesse anche metterci lui stesso la faccia.
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