A un mese dalle elezioni del 4 marzo, il giudizio uscito dalle urne non cambierebbe. Anzi, un po' sì, ma sempre a favore dei vincitori: Cinque Stelle e Lega incasserebbero alla Camera il 35% e il 20%, in rialzo del 2,3% e del 2,6% rispetto a un mese fa. Pd e Forza Italia, al contrario, perderebbero ancora di più terreno, scivolando al 17,8% (-1%) e al 12,5% (-1,5%). Il dato, ricavato dall'istituto di ricerca Demopolis, svela che il mese di stallo post elettorale non ha nuociuto alla popolarità dei partiti che hanno ottenuto in tandem oltre il 50% dei voti degli italiani.
Gli accordi con Forza Italia sulle presidenze delle Camere, i tentativi di alleanza e il «contratto» offerto da Di Maio a Lega o Pd non sembrano avere intaccato il messaggio emerso dal voto: il sostegno al «cambiamento», a quanto pare percepito come tale anche in vista di un'intesa fra due sigle (Lega e Cinque Stelle) che si sono già adeguate alle strategie parlamentari.
A livello di programmi sono emerse affinità fra i due, accomunati prima di tutto dall'ispirazione euroscettica e un linguaggio simile su temi popolari come le pensioni (dove la promessa di entrambi è abolire la riforma Fornero). Ora però sono anche gli elettori a sperare in un'intesa governativa Lega-Cinque Stelle, giudicata meno innaturale rispetto a un'apertura alle forze più odiate dagli uni e dagli altri.
Se Cinque Stelle e Lega scoprono il «realismo»
Sempre secondo Demopolis, l'accoppiata Di Maio-Salvini sarebbe infatti gradita al 46% degli elettori pentastellati e al 65% di quelli che hanno scelto Lega. All'estremo opposto, solo il 4% degli elettori Cinque Stelle accetterebbe un'intesa con il centrodestra in blocco e appena il 5% dei votanti della Lega sarebbe pronto ad accogliere il Pd in una coalizione di destra-sinistra. La resistenza ai partiti «moderati» conferma la molla di un voto di protesta, spinto dalla disaffezione per forze poi cannibalizzate a sinistra dai Cinque Stelle (il Pd) e a destra dalla Lega (Forza Italia). Ma il consolidamento dei due partiti vincitori è figlio, anche, del potere acquisito da formazioni salite al rango di partiti nazionali.
«È normale che dopo le elezioni ci sia una fase di polarizzazione fra le due forze che hanno vinto. Gli elettori sono più inclini a schierarsi con l'una o l'altra» fa notare Pietro Vento, direttore dell'Istituto Demopolis. Quanto all'alleanza Cinque Stelle-Lega, la distanza teorica fra i due si assottiglia nel nome di un principio che trascende la politica: il realismo. «In assenza di alternative, gli elettori di entrambi si sono preparati all'idea di un governo congiunto - dice Vento - Ci sarebbe poi una quota che spinge per tornare al voto, ma solo con una legge elettorale diversa». Le aperture, reciproche, rischiano di naufragare semmai sulla scelta del nome del presidente del Consiglio. Ad esempio appena il 20% degli elettori dei Cinque Stelle darebbe il suo appoggio a un esecutivo congiunto, ma guidato da Salvini.
Il “Paese reale” dietro a entrambi
Più che crescere, Cinque Stelle e Lega si sono limitati a mantenere il presidio sulle quote di elettori conquistate il 4 di marzo. L'unico risultato politico raggiunto finora, l'accordo sulla presidenza delle Camere, è scivolato senza rovinare l'umore dell'elettorato di entrambi. I Cinque Stelle hanno incassato la nomina del grillino «di sinistra» Roberto Fico alla Camera, digerendo come un compromesso a proprio vantaggio l'insediamento al Senato della forzista Maria Elisabetta Alberti Casellati. La Lega ha detto la sua sulle nomine dei vicepresidenti (con l'ex ministro Roberto Calderoli al Senato) e mantiene di fatto le leadership nel dettare la linea alle alleanze del centrodestra. Oltre ai tatticismi di rito, però, è il Paese alle spalle di entrambi che è rimasto identico a un mese fa. Su un tasto sensibile, il lavoro, i numeri continuano a essere del tutto negativi. Il tasso di disoccupazione giovanile resta superiore al 32% nella fascia 15-24 anni, mentre quello di inattività arriva al 27% in un segmento delicato come i 25-34enni e addirittura al 36,4% fra gli over 50. Tra il Nord e il Sud del Paese si rilevano differenze di reddito fino ai 10mila euro lordi in busta paga. Il risentimento per l'Europa scalda ancora gli animi, alimentato dalle ipotesi di aggirare i vincoli di deficit e debito imposti da Bruxelles. Con un governo di Cinque Stelle, Lega o entrambi.
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