Cambia il forno, mutano le priorità. E si aggiustano le condizioni minime. Se la sintonia con la Lega richiedeva le parole d’ordine «tagli alle tasse, superamento della legge Fornero e sicurezza» la prova d’intesa con il Pd fa virare il M5S di Luigi Di Maio verso un nuovo elenco di temi bandiera su cui puntare per provare a scrivere il contratto di governo. Alcune convergenze sono già evidenti: la lotta alla povertà tramite il reddito minimo, la riforma fiscale per ceto medio e meno abbienti, la svolta europeista e atlantista, gli investimenti pubblici. Altre vanno costruite. Operazione politicamente complicata, ma i segnali ci sono: se due mesi fa Jobs Act e Buona Scuola, le riforme renziane per antonomasia, erano additate come leggi da smantellare, oggi i toni sono più moderati.
«Tutto è negoziabile, a patto che si affrontino i problemi che affliggono il Paese», ragiona una fonte pentastellata. Sul lavoro, dunque, più che arroccarsi sulla battaglia per il ripristino dell’articolo 18 il M5S punterà a centrare obiettivi intermedi: indennizzi alti per i licenziamenti illegittimi, ad esempio. Il candidato ministro del Lavoro, Pasquale Tridico, ha fatto riferimento alla proposta del dem Cesare Damiano sull’irrigidimento delle norme sul licenziamento, che però fu proprio Matteo Renzi a stoppare lo scorso dicembre. Segno che il dialogo, se si aprirà, su questo fronte partirà in salita.
Se contro la povertà la base per il confronto è l’ampliamento del reddito di inclusione insieme alla riforma dei centri per l’impiego, sulle pensioni per il M5S è imprescindibile la flessibilità in uscita. La nuova proposta elaborata da Tridico scommette su quota 100 e un coefficiente di usura per ogni lavoratore. È stato proprio Damiano, ieri, a vedere un «sicuro punto di contatto programmatico»: «Poiché il Def chiarisce che l’equilibrio dei conti non è garantito soltanto dalla legge Fornero, si può perseguire la via di una sua correzione già intrapresa dal Pd nella passata legislatura». Ma pure qui bisognerà verificare la posizione dei renziani.
Sulle infrastrutture si tendono le mani. Prima del voto il M5S aveva diffuso l’elenco delle grandi opere «inutili». Adesso resta granitico soltanto il “no” a Tav e Tap, cantieri che Renzi difende. Per le altre si punta a «una verifica opera per opera sull’utilità economica e sociale e sull’impatto ambientale». Una mossa vicina all’orientamento di Delrio.
In sottofondo si condivide l’esigenza di rilanciare gli investimenti in settori strategici, dall’innovazione al contrasto al dissesto idrogeologico. Fino alle rinnovabili. Pure sull’energia i Cinque Stelle, fautori dell’addio alle fossili entro il 2050, oggi citano la strategia energetica nazionale di Calenda: «Margini ci sono». Vale pure per l’immigrazione (Di Maio ha già elogiato Minniti). Ma alla fineil vero filo rosso con il Pd è il recentissimo approdo europeista e filoatlantico del M5S, certificato dall’analisi dei saggi guidati da Giacinto della Cananea. Il fattore che più divide dalla Lega. Insieme alle tasse: la riforma Irpef del Movimento, con tre scaglioni e tre aliquote, era stata studiata anche al Nazareno, alla ricerca di una maggiore progressività. Che la flat tax del Carroccio non garantisce.
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