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Dossier Così il rifugiato può diventare un apicoltore

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    Dossier | N. (none) articoliRapporto Food & Wine

    Così il rifugiato può diventare un apicoltore

    È giovane, arriva dal Bangladesh ed è un rifugiato. Ha terminato il periodo di tirocinio ed è pronto per essere inserito stabilmente in una azienda apistica di Genova, Apicoltura Piccardo. «Dopo alcune difficoltà burocratiche ce l’abbiamo fatta: stiamo preparando le carte per l’assunzione con il contratto agricolo», conferma Benedetto Piccardo, amministratore unico della piccola impresa ligure. Piccardo è uno dei 27 imprenditori dell’apicoltura italiana che dal 2015 ad oggi hanno consentito a 44 rifugiati e richiedenti asilo di imparare un mestiere e che in almeno sette casi hanno anche offerto una occupazione stabile, con un regolare contratto di assunzione.

    Questi imprenditori sono perlopiù ai vertici di piccole aziende che hanno spalancato le proprie porte a titolari di protezione internazionale. Tutti hanno infatti aderito a un progetto ambizioso, basato su percorsi di inclusione per rifugiati e richiedenti asilo che combinano accoglienza con formazione e lavoro in apicoltura e, attualmente, in agricoltura. Si chiama Bee My Job ed è partito pochi anni fa da Alessandria, dove ha sede l’associazione di promozione sociale Cambalache, che lo sta realizzando con il sostegno di Unhcr (l’agenzia dell’Onu per i rifugiati) e la collaborazione di associazioni di settore come Conapi, Unapi, Aspromiele, Coldiretti.

    Il progetto, che offre quindi esempi di responsabilità sociale di impresa, ha ottenuto come riconoscimento il logo di Welcome. Working for refugee integration, il programma dell’agenzia delle Nazioni Unite - sostenuto dai ministeri del Lavoro e degli Interni e da Confindustria - che ha da poco premiato le aziende italiane che hanno accolto uomini e donne in fuga da guerre, persecuzioni, torture (fino ad ora in Italia il programma ha coinvolto 870 rifugiati). Tra i premiati - in tutto quasi una quarantina, tra imprese di vari settori produttivi, associazioni, agenzie per il lavoro, enti di formazione – anche un big come Adecco.

    Bee My Job è una dimostrazione di sensibilità verso la crisi umanitaria globale che sta coinvolgendo 65 milioni di persone. «Le resistenze nei confronti dei rifugiati – dice Felipe Camargo, rappresentante regionale per il Sud Europa di Unhcr - sono ancora molte e presenti in tutti i settori, incluso quello produttivo. Ma il successo della prima edizione del premio Welcome dimostra che c’è un tessuto sano che sente la responsabilità sociale come un dovere umanitario. E soprattutto ha capito che l’inclusione dei rifugiati conviene a tutti: rappresentano anche una opportunità di sviluppo per le aziende».

    Parole che trovano conferma tra le imprese dell’agrifood che hanno aderito al progetto Bee My Job. Per Piccardo il progetto è «interessante e utile» per contrastare pregiudizi e abbattere barriere culturali. Per Francesco Panella, ai vertici di Apiari degli Speziali, azienda apistica di Tassarolo, in provincia di Alessandria, il reclutamento di manodopera straniera è anche fondamentale per la sopravvivenza del settore: l’apicoltura è a corto di manovalanza italiana. «Non c’è solo l’esigenza delle imprese che oggi si reggono sul lavoro degli immigrati – sottolinea però Panella -. C’è anche un aspetto umano che riguarda il nostro modo di guardare il futuro: il mondo che verrà sarà sempre più multietnico e multiculturale». L’imprenditore piemontese ha accolto come tirocinanti due rifugiati. Per uno, proveniente dal Ghana, è scattata l’assunzione. L’altro ha acquisito la specializzazione che gli ha permesso di trovare un lavoro in un’altra azienda apistica.

    L’iniziativa, da un anno aperta anche alle imprese agricole oltre che a quelle dell’apicoltura, si sta sviluppando. Quest’anno saranno formati altri 75 rifugiati e richiedenti asilo. «Riceviamo richieste di partecipazione da imprese apistiche e agricole di ogni parte del Paese», dice Francesca Bongiorno, referente nazionale per le aziende di Calambache.

    I corsi, della durata di 120 ore, sono intensivi e prevedono anche lezioni di italiano e sulle nozioni riguardanti la sicurezza sui luoghi di lavoro e le normative che la regolano. Rifugiati e richiedenti asilo vengono poi assegnati alle aziende, dove effettuano tirocini che variano dai quattro ai sei mesi, per completare la formazione: se al termine non vengono assunti, hanno comunque sviluppato competenze per la ricerca di un lavoro.

    I destinatari dell’iniziativa arrivano prevalentemente dall’Africa, ma ci sono anche pakistani, bengalesi e afghani. Le aziende che aderiscono ricevono un bonus di mille euro.

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