Innovazione, nel campo delle tecnologie per il settore alimentare, deve sempre fare rima con tradizione, il contenuto più sensibile e strategico per valorizzare la qualità del made in Italy sulle tavole all’estero. Soprattutto quando si parla di prodotti top di gamma legati al nostro territorio e al nostro patrimonio culturale, in primis quelli Dop e Igp. Motivo per cui la rivoluzione 4.0 si sta traducendo nelle fabbriche del food del nostro Paese in un ricco “corredo” di computer, sensori e tecnologie digitali attorno al cuore del processo produttivo – che continua a seguire i dettami della tradizione – al fine di migliorare l’efficienza delle macchine e delle fasi di confezionamento e logistica, di ridurre gli scarti, di tagliare i consumi energetici, di potenziare la sicurezza per il lavoratore e la salubrità del prodotto destinato al consumatore. Attraverso il monitoraggio costante di ogni passaggio e parametro delle lavorazioni e l’utilizzo dei big data che ne scaturiscono per prevenire, ancor più che correggere, eventuali problemi e potenziare le performance.
«L’accelerazione degli investimenti nel nostro settore, con un trend di crescita superiore al 10% nel 2017 e dinamiche positive anche in questi mesi, è legata sicuramente alla spinta degli incentivi del piano Impresa 4.0, che hanno fornito un supporto fondamentale agli imprenditori per reagire ad anni di incertezza. Ma c’è stata anche una presa di consapevolezza inedita, proprio in virtù della velocità del cambiamento in atto, che non investire oggi significa uscire dal mercato. Noi — sottolinea Marco Nocivelli, presidente di Assofoodtec, l’Associazione italiana macchine, impianti, attrezzature per la produzione, la lavorazione e la conservazione alimentare federata ad Anima (Confindustria) – ci confrontiamo non solo con competitor tedeschi ma anche con quelli di Paesi low cost come Turchia e Cina che cominciano a essere preparati sulle tecnologie tradizionali e per reggere il passo dobbiamo spingerci avanti».
Essere avanti significa essere in grado di soddisfare in tempi rapidissimi la domanda di macchine e pezzi su misura, «e qui la stampa 3D ci viene in grande aiuto, e infatti oggi comincia a essere molto diffusa nelle nostre aziende», prosegue Nocivelli, che rappresenta un segmento della meccanica che vale 5,2 miliardi di euro (per il 70% export) e oltre 22mila addetti.
Robot umanoidi in giro nelle fabbriche alimentari se ne vedono pochi, ma c’è molta automazione nel packaging, nei magazzini e ovunque la tecnologia aiuti a ridurre lo sforzo dell’uomo e ad aumentare la produttività, senza intaccare l’artigianalità della produzione. «Non ci sarebbe great food senza una great technology dietro. Un buon gelato ha bisogno di buoni banchi frigoriferi e un buon espresso di una buona macchina da caffè. Non ho remore a dire che noi italiani siamo più bravi e attrezzati dei colleghi-competitor tedeschi perché le nostre tecnologie sanno valorizzare sapore e caratteristiche del cibo, oltre al design, un campo su cui i tedeschi si muovono maldestramente», aggiunge il numero uno di Assofoodtec.
I dati di Federalimentare confermano l’attenzione altissima della filiera sul fronte ricerca e innovazione, cui le 58mila imprese associate destinano ogni anno circa 10 miliardi di euro, l’8% del fatturato complessivo. Di cui 2 miliardi solo su qualità e sicurezza. «Nell’industria alimentare, secondo comparto manifatturiero per importanza in Italia, l’innovazione digitale entra con più lentezza rispetto alla media per il profilo ancora “artigianale” di lavorazioni e produzioni. Secondo un’indagine da noi commissionata a Nomisma pochi mesi fa – spiega Aurelio Ceresoli, consigliere Federalimentare delegato per l’Industria 4.0 – gli investimenti correlati a Industria 4.0 sono legati per lo più a meccanismi di difesa delle proprietà intellettuali e dei dati aziendali. Qui entra tutto il tema della tracciabilità, cruciale per il settore, che il digitale sta spingendo moltissimo».
Se il digitale fa il suo ingresso, nel pastificio come nel salumificio, per la raccolta e l’elaborazione di dati, finisce poi per avere effetti benefici anche sulla riduzione dei costi e il miglioramento della produttività, raccontano le 200 interviste raccolte da Nomisma nel recente sondaggio. Che rilevano però anche un grosso ostacolo al pieno dispiegarsi del potenziale: la carenza di competenze nelle aziende. «Per questo – conclude Ceresoli – dopo due anni di attività, come Federalimentare, per fare informazione e contaminazione digitale nel nostro comparto (che sconta una forte frammentazione), con il 2018 abbiamo dato il via all’era della formazione 4.0, perché il capitale umano è il fulcro del nostro successo e ci servono talenti digitali che sappiano coniugare tecnologie e innovazione con tradizione e artigianalità».
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