Dopo più di due mesi il terzo giro di consultazioni tra i partiti effettuato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha dovuto constatare il permanere dello stallo, con i partiti fermi sulle posizioni del 5 marzo. Durante il week end l'offerta politica di Luigi Di Maio alla Lega aveva fatto pensare che la situazione potesse evolversi nuovamente verso un governo giallo-verde: il leader pentastellato per la prima volta si è detto disposto a fare un passo indietro sulla questione della premiership, invitando Matteo Salvini ad individuare un possibile premier insieme, ma ha mantenuto fermo il voto posto fin dall'inizio su Fi.
Dopo ben due vertici tesissimi, domenica notte e stamattina, Salvini ha dovuto accettare il niet di Silvio Berlusconi: Fi resta indisponibile ad appoggiare solo dall'esterno un governo M5s-Lega rinunciando a farne parte con proprio ministri. E si capisce il motivo per cui il leader della Lega non ha potuto e voluto rompere la coalizione di centrodestra che ha ottenuto il 37% dei consensi il 4 marzo e che ha vinto anche in Molise e Friuli Venezia Giulia per restare socio di minoranza, con il il 17%, di un governo a egemonia pentastellata.
Al punto di partenza, dunque, in un gioco dell'oca che più il tempo passa più diventa pericoloso per la stessa tenuta istituzionale del Paese. La richiesta del centrodestra di avere l'incarico per andarsi a cercare i voti in Parlamento infatti non è ricevibile da parte del capo dello Stato, che ha bisogno di conoscere in anticipo quale possibile maggioranza possa sostenere tale governo: niente incarichi al buio.
Resta la soluzione di un governo del Presidente, o meglio di tregua, che possa riportare il Paese al voto in modo ordinato, possibilmente dopo aver varato la legge di bilancio. Ma solo il Pd, tra tutti i partiti saliti al Colle in mattinata, si è detto disponibile a sostenere il governo che nelle prossime ore Mattarella proporrà. Dopo essersi spaccato sull'ipotesi di un accordo politico con il M5s, con il fermo niet dell'ex segretario Matteo Renzi, i democratici si sono momentaneamente ricompattati nel nome dell'unità nazionale, del Presidente e della responsabilità. Ma ovviamente non basta, perché anche immaginando che Berlusconi si stacchi da Salvini per votare il governo che proporrà Mattarella resta il fermo no sia di Salvini sia Di Maio, non disponibili a sostenere governi che non siano politici. Senza l'astensione di M5s e Lega, o almeno di uno dei due “vincitori”, tale governo parte già sfiduciato in Parlamento. Con un corto circuito Parlamento-Quirinale del tutto inedito negli ultimi almeno negli ultimi 25 anni.
Senza sviluppi politici nuovi ci si avvia dunque a nuove elezioni a breve, probabilmente già a settembre, sotto la guida di un governo ancora da inventare che non avrà la fiducia del Parlamento. C'è la questione dell'aumento dell'Iva che scatterebbe a politiche invariate e di cui nessun partito vuole prendersi la responsabilità. Di Maio, dopo l'incontro della delegazione pentastellata con Mattarella, ha fatto intravedere una possibile soluzione, anche questa del tutto inedita: il voto in Parlamento a soluzioni per evitare l'aumento dell'Iva pur in assenza di fiducia al governo.
Ci si avvia dunque verso nuove elezioni, con ogni probabilità con lo stesso sistema elettorale a prevalenza proporzionale. E c'è da chiedersi con quali prospettive. Il più interessato a tornare alle urne è al momento Salvini, che ha i sondaggi dalla sua parte e che potrebbe superare la fatidica soglia del 40% per tentare di ottenere la maggioranza dei seggi per il centrodestra.
Ma val la pena notare che il Rosatellum non prevede un premio di maggioranza: l'effetto maggioritario può essere dato dalla quota dei collegi unoniminali (circa il 37% dei seggi totali). Ma come ha più volte rimarcato il politologo Roberto D'Alimonte sulle colonne del Sole 24 Ore, l'effetto maggioritario può esserci ma anche non esserci: per ottenere la maggioranza dei seggi un partito o una coalizione deve raggiungere quota 40% e contemporaneamente vincere nel 70% dei collegi.
E la spaccatura dell'Italia a metà, con il centrodestra predominante al Nord e con il M5s predominante al Sud, rende difficile l'obiettivo del 70% di cui avrebbe bisogno il centrodestra per vincere. D'altra parte in questo clima politico a dir poco di mancata collaborazione non si vede come e chi potrebbe cambiare la legge elettorale per renderla più maggioritaria. A Costituzione invariata le uniche possibilità sono o aumentare la quota di collegi uninominali tornando al Mattarellum, con esiti comunque incerti, o introdurre un premio di maggioranza del 15% oltre una certa soglia (37 o 40%) come prevede Salvini. Ma non si vede per quale motivo gli altri due partiti, il M5s e il Pd, dovrebbero fare questo regalo al centrodestra a trazione salviniana.
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