Il superamento della riforma Fornero è rimasto fino al termine del confronto tra M5S e Lega il punto di convergenza programmatico più forte. E se nei prossimi giorni nascerà davvero un governo politico avrà nel mirino l’abolizione della pensione anticipata e il ripristino della pensione di anzianità con 41 anni e cinque mesi di contributi, indipendentemente dall’età o quota 100 (101 per gli autonomi) con il meccanismo delle quote. Un meccanismo, quest’ultimo, che prevederebbe comunque un’età minima di 64 anni. La nuova flessibilità verrebbe introdotta con paletti molto stretti, per esempio una contribuzione figurativa non superiore ai 2 o 3 anni per accedere alle nuove anzianità che, secondo le stime fatte dal supertecnico della Lega, Alberto Brambilla, non costerebbe più di 5 miliardi l’anno.
«Il nostro lasciapassare per l’Europa e per i mercati - spiega al Sole 24 Ore Brambilla - è il mantenimento degli stabilizzatori automatici, ovvero l’adeguamento dei requisiti alla speranza di vita e i coefficienti di trasformazione. Senza quelli diventa difficile difendere la nuova flessibilità che vogliamo». È questo il punto su cui il confronto tra Carroccio e pentastellati resta difficile. Mentre sulle coperture il tecnico della Lega conferma la ricetta presentata alla vigilia del tavolo politico: verrebbe chiusa l’Ape sociale e rivisti i trattamenti per i gravosi. Si punterebbe di più sui fondi di solidarietà per finanziare le uscite anticipate e si utilizzerebbe parte della “dote” legata alle decontribuzioni per i neo-assunti per finanziare una sorta di “superammortamento selettivo” per le assunzioni nelle aziende più dinamiche. «Ma si tratta delle proposte tecniche - puntualizza Brambilla - è la politica che tira le conclusioni».
Vale ricordare che a fine febbraio, sugli annunci elettorali di un ritorno alle anzianità con 41 anni o quota 100 l’Inps aveva stimato una spesa aggiuntiva di 14-18 miliardi nei primi due anni di applicazione al netto dei risparmi per l’Ape sociale non più erogata.
Al di là delle stime sui costi effettivi o potenziali dell’intervento, una riduzione di fatto dei requisiti di pensionamento attuali verrebbe varata in coincidenza con un peggioramento delle ultimissime stime ufficiali sulla spesa previdenziale. Scenari evocati esplicitamente nel Def 2018 e dei quali s’è parlato nel corso della audizioni parlamentari della scorsa settimana. La prima è stata Bankitalia, che ha parlato delle ultime riforme pensionistiche come uno dei punti di forza (da non smontare) della nostra finanza pubblica. E poi l’Ufficio parlamentare di Bilancio, che è tornato sulle ultime proiezioni elaborate dal gruppo di lavoro sull’invecchiamento della popolazione (AWG) della Commissione europea. Secondo i tecnici di Bruxelles, che aggiornano le loro previsioni ogni tre anni, la spesa italiana per pensioni aumenterebbe vertiginosamente dal 15,1% del 2020 al 18,4% del 2040. Un salto legato a scenari demografici e macroeconomici tutti in peggioramento. Si prevedono, in particolare, saldi migratori netti in riduzione di 110mila unità medie annue, mentre sulla crescita il nuovo scenario vede una dinamica del Pil non superiore allo 0,5% tra il 2025 e il 2040, un intervallo nel corso del quale pure il tasso di produttività medio annuo scenderebbe, dall’1,3% allo 0,8 per cento.
Se sulle previsioni di spesa di lungo medio-lungo termine il dibattito può anche restare aperto, di sicuro c’è che il ritorno alle pensioni di anzianità targate Lega-M5S abbasserebbe di circa tre anni il termine legale di uscita dal mercato del lavoro. Si ripartirebbe, come detto, dai 64 anni minimi per chi intercetta quota 100 (o 101) con 36 o 37 anni di contributi (contro i 67 anni previsti dal 2019), mentre nel caso di uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età lo “sconto” è da calcolare tenendo conto del fatto che dal gennaio prossimo, a normativa invariata, servirebbero 43 anni e tre mesi per gli uomini e 42 anni e tre mesi per le donne. Di fatto i 41 anni e 5 mesi della “nuova flessibilità” annunciata coinciderebbero con un’estensione a tutti i lavoratori del requisito di anticipo già previsto dal 2019 per i lavoratori precoci, chi cioè ha almeno un anno di impiego e contributi versati prima dei 19 anni di età.
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