La diffusione nella serata di ieri di una bozza del contratto su cui Lega e M5S lavorano da giorni manda in fibrillazione la trattativa, e spiega bene le preoccupazioni europee che avevano dominato la giornata.
La bozza, pubblicata dall’Huffington Post, è datata a lunedì mattina, all’indomani del weekend milanese, ed è «già stata ampiamente modificata nel corso degli ultimi due incontri», come si affretta a precisare una nota congiunta del Carroccio e del Movimento. Ma contiene proposte-bomba: il capitolo che rimette in discussione l’euro sarebbe già stato tolto di comune accordo, con una scelta che non mancherà di accendere la discussione all’interno dei due elettorati, ma fonti Cinque Stelle confermano l’accordo sull’idea di chiedere alla Bce di cancellare 250 miliardi di titoli di Stato che l’istituto di Francoforte avrà in bilancio alla fine del Quantitative Easing.
L’ipotesi sarebbe stata elaborata dal Movimento e accolta dalla Lega, all’interno di una cura shock anti-debito che prevederebbe anche la costruzione di una sorta di fondo immobiliare con 200 miliardi di euro di patrimonio pubblico; le sue quote sarebbero vendute al mercato retail con l’obiettivo di «trasferire il risparmio degli italiani dal debito pubblico al patrimonio immobiliare».
Entrambe le mosse, che si accompagnano nella bozza alla vendita a Cdp di 70 miliardi di partecipazioni del Tesoro, promettono ovviamente di incendiare i rapporti con l’Europa. Per cancellare i 250 miliardi di BTp comprati con il Quantitative Easing non ci sarebbe da convincere solo Mario Draghi, ma anche tutte le banche centrali che sono azioniste di Francoforte: un elenco che vede ai primi tre posti la Bundesbank, la Banca di Francia e Bankitalia, e prosegue con gli istituti centrali degli altri Stati membri. In questo quadro, sempre secondo la bozza, si dovrebbe poi anche avviare un confronto con l’Unione europea per utilizzare una quota di fondi comunitari nel finanziamento del reddito di cittadinanza.
Ma se per i singoli punti bisognerà aspettare il testo definitivo del contratto (le bozze confermano «Flat Tax» senza l’indicazione delle due aliquote, maxi-condono e le misure anticipate nei giorni scorsi su giustizia, scuola e ambiente), sono le linee generali di politica economica ad alimentare la preoccupazione che ieri l’establishment comunitario ha mostrato a più riprese. Il desiderio della Lega di rivedere i trattati firmati dall’Italia e da altri 27 Stati membri ha indotto alcuni commissari a ricordare gli impegni del Paese nei confronti dei suoi partner, sottolineando indirettamente che modificare gli accordi richiede comunque l’unanimità.
Da Roma, il leader della Lega Matteo Salvini ha parlato di «ennesima inaccettabile interferenza di non eletti», riferendosi agli auspici europei di evitare chiusure sull’immigrazione. Il leader M5S Luigi di Maio ha invece indirizzato un secco «come si permettono?» in risposta all’immagine dei «nuovi barbari» evocata dal Financial Times. Ma al di là della risposta corale alle obiezioni internazionali, le distanze principali fra M5S e Lega continuano a esserci. «Ci sono ancora punti da dirimere», ha spiegato ieri sera il leader Cinque Stelle Di Maio dopo l’ennesimo vertice alla Camera con il segretario della Lega, ribadendo che «prima vengono i contenuti, poi i nomi». «Se c’è un accordo andrà approvato nelle piazze - ha invece scritto Salvini su Facebook rivolgendosi ai militanti leghisti - altrimenti l’unica via è andare a votare». «Tertium non datur», ha chiosato il leader del Carroccio ipotecando anche il governo neutrale che rappresenta il “piano B” del Quirinale.
Il clima si era scaldato fin dalla mattina con l’intervento di tre commissari europei che a Bruxelles avevano preso la parola per discutere di prospettive italiane. Appartengono a categorie mentali diverse; provengono da paesi diversi; e hanno modi di comunicare diversi. Eppure tutti e tre hanno ricordato all’Italia che gli accordi comunitari sono vincolanti, e che nessun paese membro è pronto a cambiare le regole o a fare eccezioni per venire incontro alle eventuali richieste di un eventuale governo Lega-M5S».
«Le regole del Patto di Stabilità si applicano a tutti gli stati membri e non ho segnali che la Commissione europea concederà eccezioni a chiunque», ha detto il vicepresidente dell’esecutivo comunitario, il finlandese Jyrki Katainen, rispondendo a una domanda durante una conferenza stampa. «Non è solo una cosa che sta a noi decidere. Alla fine le decisioni sul Patto le prende il Consiglio e non vedo segnali che i paesi membri vogliano cambiare le regole o fare eccezioni per qualcuno».
Poche ore prima, partecipando a un convegno, un altro vice presidente, l’estone Valdis Dombrovskis, aveva spiegato: «Non posso anticipare le prossime raccomandazioni-paese che usciranno nel corso di questo mese. Tenuto conto delle sfide del paese, l’Italia dovrebbe continuare a concentrarsi sulle questioni di bilancio, riducendo il deficit e imponendo al debito un percorso discendente (…). Lo stesso presidente Sergio Mattarella ha messo l’accento sul rispetto degli impegni europei».
Su tutt’altro fronte, il commissario all’Immigrazione, il greco Dimitri Avramopoulos, ha detto di sperare che l’Italia «non cambi la linea della politica migratoria». Le parole provenienti da Bruxelles non sono da attribuire a particolare antipatia nei confronti di un eventuale governo Lega-M5S (magari con il maldestro risultato di stuzzicare il nazionalismo italiano). Vi è piuttosto il desiderio, se non l’obbligo, di spiegare i termini della questione in una Unione europea nella quale nessun governo è pienamente libero delle proprie scelte. In filigrana, i tre commissari hanno semplicemente ricordato all’Italia che pacta sunt servanda.
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