Luigi Di Maio e Matteo Salvini lo difendono. Non poteva essere altrimenti, all’indomani dell’indicazione al capo dello Stato del nome di Giuseppe Conte come candidato premier del governo giallo-verde. Ma al di là della difesa d’ufficio le chance che il giurista dell’Università di Firenze raggiunga lo scranno più alto di Palazzo Chigi sono ridotte al lumicino. Mentre su Paolo Savona al ministero dell’Economia Salvini è pronto alle barricate e torna a minacciare il ritorno al voto. L’impasse è confermata indirettamente anche dalle ulteriori 24 ore che il Colle si è riservato per «vagliare il profilo» di Conte prima di affidare l’incarico.
Le ombre sul curriculum - partite con la smentita della New York University sui suoi studi di perfezionamento arrivata tramite il New York Times - e il suo ruolo di avvocato difensore in uno dei casi Stamina (il metodo di Davide Vannoni, che ha patteggiato una condanna a un anno e dieci mesi dopo l’accusa di associazione a delinquere e truffa) hanno fortemente indebolito la sua candidatura. Di Maio e Salvini si sono incontrati ieri a pranzo. Inizialmente si pensava che a questo vertice, centrato sulla squadra, partecipasse lo stesso Conte. Ma la Lega ha tenuto a far sapere che il candidato premier non faceva parte del tavolo. Una presa di distanza in contraddizione con la “blindatura” di Conte nelle dichiarazioni dopo il faccia a faccia.
Ma è una contraddizione apparente. La difesa di Conte, uomo indicato dal M5S, serve a Salvini per alzare la posta su Paolo Savona all’Economia. Con un vero aut aut. In una nuova lunga diretta Facebook il leader della Lega ha detto chiaro e tondo che sulla «solida base di studi e di lavoro» dell’economista 82enne euroscettico non ci sono dubbi. «Pare che nella lista dei ministri ci sia qualcuno che non è gradito all’establishment», ha sostenuto Salvini. Il destinatario del messaggio è anche il Quirinale, anche se il Carroccio fa sapere che «non sono arrivati veti». Ma inevitabilmente la sua mossa non può che essere letta come un pressing sul capo dello Stato. Non a caso ieri Salvini, che ha rivevuto il “no” ufficiale di Giorgia Meloni all’ingresso di Fdi nel governo, è tornato a riproporre il ritorno alle urne: «Noi siamo pronti: se qualcuno non può o non vuole ce lo dica».
L’affondo di Salvini è diretto anche al suo alleato Di Maio, indebolito dal caso Conte. L’imbarazzo nella war room penstastellata era palpabile, al di là dei due post sul blog delle Stelle con cui si è gridato al complotto e al «sistema della diffamazione» contro l’avvocato, che era stato scelto proprio dal capo politico M5S come ministro della Pa nel suo governo ombra. Non è un caso che parallelamente sia tornata a circolare l’ipotesi di Di Maio premier, la più gradita da tutti quelli che non vedono di buon occhio un tecnico “terzo” a Palazzo Chigi. Un’ipotesi che ha mandato su tutte le furie Salvini, che durante il vertice si è lamentato con Di Maio per la difesa troppo debole e quindi sospetta di Conte. Il “no” dei leghisti al leader del Movimento è netto. Così come netta è l’investitura all’Economia di Savona. La possibilità di “ripiegare” su Giancarlo Giorgetti è al momento esclusa: il capogruppo della Lega alla Camera resta candidato come sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Ma dopo la tempesta su Conte gli equilibri sono di nuovo fragili. Sintetizza il leghista Lorenzo Fontana, fedelissimo di Salvini: «Se salta Conte bisognerebbe tornare a ridiscutere tutto. E un veto su Savona sarebbe un bel problema». Intanto si leva anche la voce dei vescovi. Con il presidente Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, che confida nella «guida paziente» di Mattarella e avvisa: non basta fare un governo «per poter guidare il Paese».
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