I calcoli, le convenienze, i sondaggi questa volta non bastano. I partiti non vogliono il Governo Cottarelli e parlano di elezioni dividendosi tra l’ipotesi luglio o settembre ma ieri c’era un terzo incomodo che ha influenzato tutta la partita: l’allarmante contesto finanziario che ha visto l’impennata dello spread oltre quota 300. Accanto ai vantaggi sono diventati improvvisamente chiari i pericoli dell’Italia, anche ai “vincitori”, Lega e 5 Stelle. E così mentre Carlo Cottarelli sta preparando la sua lista da portare al Colle, improvvisamente tutto si ferma. Il premier incaricato che era salito al Quirinale per portare la lista dei ministri - a sorpresa - torna alla Camera, ufficialmente per alcuni problemi sui nomi. Ma è una versione di facciata. Il tema è un altro. Che senza un Governo con la fiducia del Parlamento, il Paese non regge di fronte alla pressione dei mercati e dello spread fino a settembre. E dunque o nasce un Governo Cottarelli “sfiduciato” che porta velocemente alle urne, il 22 o 29 luglio, oppure deve partire un Esecutivo politico. Questo è il bivio per evitare lo stillicidio finanziario e la speculazione fino a settembre.
È così che nasce una nuova trattativa tra le forze politiche quando il Colle fa sapere di essere pronto a uno scioglimento delle Camere. Tornano in ballo di nuovo i calcoli dei partiti ma questa volta sotto un’altra pressione quella delle urne e della tenuta finanziaria. Resuscita un negoziato tra 5 Stelle e Lega anche con la possibilità di un incarico a Salvini o Giorgetti ma con la rinuncia di Paolo Savona all’Economia. Su questo punto non c’è verso per il Quirinale di cambiare idea. Il perno del negoziato diventa il leader leghista, l’unico che ieri sera non aveva ancora deciso quale fosse la sua convenienza.
Dai 5 Stelle, invece, il calcolo è chiaro ed è un no alle urne nonostante le dichiarazioni pubbliche. La novità è che Luigi Di Maio, nel suo comizio a Napoli, a sorpresa annuncia il ritiro dell’impeachment contro Sergio Mattarella che era la bandiera contro il Colle dopo lo stop all’Esecutivo Conte-Savona. Più che una marcia indietro è un testacoda perché Di Maio si dice pronto perfino a «collaborare» con il capo dello Stato dopo averlo minacciato di messa in stato d’accusa, cioè dopo aver usato la “bomba atomica” contro di lui. Si capisce che il Movimento e il suo capo politico sono quelli che ieri ritenevano di avere meno vantaggi da un voto a luglio. Quelli che più di altri stanno cercando una via per ritardare le urne. Addirittura sul blog dei 5 Stelle si legge che il Movimento non è nemico dei mercati.
Il cambio di gioco, insomma, arriva da Di Maio che chiede una ripartenza, un nuovo tentativo per fare il Governo grillo-leghista. Ma chi non vuole le urne sono pure gli esponenti del Pd: le hanno evocate ma come un esorcismo, solo per scacciarle. È evidente come non siano affatto in condizione di affrontare a breve un turno elettorale che li vedrebbe di nuovo sconfitti. E nella stessa situazione è Forza Italia che però ieri sperava di riagganciarsi al “treno” del Governo e al vagone della Lega. Oggi al Colle si capirà quale convenienza ha avuto la meglio. E se saremo in grado di evitare o almeno arginare i rischi.
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