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in calo ma costi in crescita

Sbarchi migranti, a cosa servono i «5 miliardi» che Salvini vorrebbe tagliare

L’emergenza migranti ha un costo per l’Italia. Che continua a crescere nonostante la flessione degli sbarchi prosegua (con una temporanea impennata ad aprile) da dieci mesi (l’andamento dei primi 5 mesi del 2018 conferma una riduzione di oltre il 70% rispetto allo stesso periodo del 2017).

Lo scorso anno - spiega il Def approvato dal Governo - abbiamo speso 4,3 miliardi (risorse utilizzate per finanziare tutto il sistema di assistenza, accoglienza, formazione e soccorso in mare) di risorse statali, al netto dei contributi Ue. Ma nel 2018, pur considerando una perdurante capacità nel ridurre gli sbarchi, la spesa da sostenere è prevista salire da 4,6 fino a 5 miliardi di euro, sempre al netto dei contributi Ue (con percentuali ripartite per il 18,9% per il soccorso in mare, il 68,4% per l’accoglienza e il 12,7% per assistenza sanitaria e istruzione). E il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha già annunciato l’intenzione di «dare una bella sforbiciata» a questa cifra. Guardando alle percentuali, quella più consistente riguarda l’accoglienza, cifrabile per il 2018 tra i 3,2 e i 3,4 miliardi rispetto al totale.

Le presenze nelle strutture di accoglienza
Il Def spiega che la riduzione dei flussi non ha infatti abbassato i costi dell’accoglienza per l’Italia, visto che «le presenze nelle strutture hanno visto un andamento crescente» anche per i limitati esiti dei piani Ue di ricollocamento che prevedevano un totale di 34.953 trasferimenti dall’Italia entro settembre 2017 (al 3 aprile 2018 sono stati trasferiti dall’Italia ad altri paesi dell’Unione Europea solo 12.583 richiedenti asilo, ndr). E calcola in circa 174mila le presenze nelle strutture a inizio aprile 2018. Un numero calato, in realtà, a quota 168mila a fine maggio.

Come è strutturato il sistema di accoglienza
La maggior parte dei richiedenti asilo (in attesa dell’esame della domanda presentata) è ospitata in strutture provvisorie, «poiché i servizi convenzionali a livello centrale e locale hanno capienza limitata». In base ai dati del Def aggiornati ad aprile, erano 25.657 i richiedenti asilo e i rifugiati ospitati nella rete del circuito Sprar gestito dagli enti locali (cresciuti rispetto ai 24.741 del 2017), con servizi qualificati che vanno dall’assistenza sanitaria alle attività multiculturali; dall’inserimento scolastico dei minori alla mediazione linguistica e interculturale; dall’orientamento e informazione legale all’inserimento lavorativo, ai tirocini, ai corsi formazione.

I restanti 147mila richiedenti asilo (la stragrande maggioranza) sono concentrati prevalentemente nei cosiddetti Centri di accoglienza straordinaria (Cas), strutture individuate dalle prefetture (in convenzione con cooperative, associazioni e strutture alberghiere) e spesso «subìte» dai sindaci, che offrono solo servizi essenziali (alloggio, vitto, pocket money (2,50 €) e una tessera di ricarica telefonica all'arrivo). I restanti 8.990 sono alloggiati nei centri di prima accoglienza.

I rilievi della commissione parlamentare d’inchiesta
Non a caso una delle criticità rilevate dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza, identificazione ed espulsione dei migranti, nella sua relazione finale, è la mancanza di «fluidità» nel passaggio dalle strutture di prima accoglienza a quelle di seconda, legata essenzialmente alla carenza di posti nel servizio Sprar.

Le ragioni del calo degli sbarchi
Da segnalare infine che tra le motivazioni individuate nel Def all’origine della riduzione degli sbarchi si segnalano le misure messe in atto nel Mediterraneo, «tra cui l’attivazione di diversi hotspot per l’identificazione dei migranti in
collaborazione con i funzionari di Easo, Frontex ed Europol, l’emanazione di un codice di condotta per le organizzazioni non governative (Ong) e l’affiancamento delle navi italiane a quelle della guardia costiera libica».

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