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Fondazioni, le nuove casseforti della politica senza trasparenza

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L’INCHIESTA SULLO STADIO DELLA ROMA

Fondazioni, le nuove casseforti della politica senza trasparenza

È accaduto anche stavolta: dalle carte dell’inchiesta giudiziaria sullo stadio della Roma (nove arresti 16 indagati), spunta una fondazione legata alla politica. Era già successo per le vicende del Mondo di mezzo (la Nuova Italia che faceva riferimento all’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno) e per quelle che hanno avuto come protagonista Alfredo Romeo (contributi, regolari e registrati, a Open di Matteo Renzi). Strumento da tempo usato dai partiti per il finanziamento della propria attività che ha, però, obblighi di trasparenza inferiori rispetto a quelli cui sono tenuti per legge i partiti stessi. Nel caso scoppiato ieri si tratta, perl’esattezza, di una onlus: “Più voci”, un’associazione vicina alla Lega e gestita dal tesoriere del Carroccio Giulio Centemero. Il quale ha precisato che non «è partecipata in via diretta dal partito». Proprio qui sta il problema.

Perché, ha detto il presidente dell’autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, «le vicende di questi giorni danno forza alla convinzione che è necessario regolamentare il rapporto tra politica e mondo della lobby». Un tema su cui il presidente dell’Anac insiste da tempo: «L’attività politica - disse lo scorso anno - si è spostata dai partiti ad altre organizzazioni», cioè fondazioni e associazioni. «Una riforma è ineludibile. Non si può pensare a fondazioni regolate dal solo codice civile: le norme del codice civile sono insufficienti». E «c’è una differenza tra fondazioni che gestiscono una biblioteca e quelle che fanno attività politica».

Il difetto di trasparenza è ben descritto da Openpolis. Dal dossier, aggiornato allo scorso febbraio, si deduce che, delle 108 fondazioni censite dal 2015, solo 94 hanno un sito internet e, tra queste, meno della metà pubblica il proprio statuto, l’unico documento dal quale è possibile dedurre attività svolte, scopi e finalità, patrimonio e organi. Ma a mancare sono soprattutto le informazioni economico-finanziarie e l’elenco dei finanziatori. Sulle 94 fondazioni con sito attivo solo 15 pubblicano un bilancio: poco meno del 16 per cento. «Ci vorrebbe una trasparenza totale - disse Cantone in un’intervista al Fatto quotidiano - sia sulle entrate m anche su come vengono impiegati fondi raccolto. I bilanci devono essere certificati, come per i partiti».

Già nella scorsa legislatura erano stati presenti disegni di legge che avevano lo scopo di rendere più trasparenti le fondazioni politiche. Uno era quello presentato dall’ex tesoriere del Pd Antonio Misiani che prevedeva l’obbligo di un revisore legale per le associazioni con proventi sopra i 50mila euro e, come per i partiti, un limite di 100mila euro annui alle erogazioni di ciascuna persona, pubblicità per versamenti superiori a 5mila euro annui (senza il rilascio del consenso degli interessati) e tracciabilità dei contributi. La proposta fu presentata nell’estate del 2015 ma non è mai stata discussa. All’inizio della nuova legislatura l’esponente del Pd l’ha riproposta.

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