È stato calcolato che l’insieme delle pensioni attualmente in pagamento ha un valore finanziario superiore del 20-25% rispetto al valore dei contributi versati dai percettori durante la loro vita lavorativa. Le cause sono diverse e spaziano dal sistema di calcolo retributivo più generoso, che abbiamo avuto fino alla metà degli anni Novanta, alla lunga transizione voluta per passare al contributivo per tutti (scattato solo nel 2012) fino alla longevità dei pensionati (diretti e indiretti, con la reversibilità) che godono dell’assegno Inps per molti più anni di quelli che sarebbero stati coperti con i contributi versati. Quello “squilibrio contributivo” si riduce però a poco più del 5% per le pensioni più elevate, poiché il nostro sistema prevede rendimenti decrescenti sulle contribuzioni più elevate.
Partiamo allora da questa cifra per capire quanti risparmi si possono realisticamente ottenere con un intervento di “solidarietà”, probabilmente temporaneo per avere una chance di costituzionalità, volto a tagliare lo “squilibrio contributivo” per finanziare le pensioni basse.
La platea di beneficiari di redditi da pensione sopra i 5mila euro netti al mese è di circa 30mila persone: si tratta di redditi da pensione non pensioni pure, vuol dire per esempio che ci sono pensionati con un assegno di anzianità da 3mila euro netti al mese che cumulano con una reversibilità di 2.500 netti (caso che non verrebbe toccato dal taglio perché nessuno dei due assegni supera il tetto dei 5mila). L’insieme di questi redditi da pensione vale circa 4 miliardi, l’1,5% dell’intera spesa previdenziale.
Una riduzione di tutte le punte superiori al tetto dei 5mila potrebbe garantire una minore spesa per circa 210 milioni lordi (115 al netto di 85 milioni di minori imposte), secondo un calcolo fatto da Tabula, la società di ricerca fondata da Stefano Patriarca, tecnico che ha fatto parte del nucleo economico di palazzo Chigi degli ultimi due governi. Con una cifra di questo tipo si può certo alimentare un primo fondo per finanziare gli aumento delle pensioni basse ma si tratta di capire dove si vuole arrivare. La pensione di cittadinanza proposta nel Contratto di governo sarebbe di 780 euro mensili per chi vive sotto la soglia di povertà ma bisogna poi capire quale sarà la platea effettiva dei beneficiari di questo nuovo assegno che supera gli attuali assegni sociali o integrazioni al minimo.
Cifre precise ancora non sono state fatte ma possiamo ricordare che il Pd in campagna elettorale aveva ipotizzato una spesa superiore al miliardo per aumentare le minime (a 750 euro) mentre Forza Italia, con un provvedimento in continuità con quello adottato nel 2002 ha parlato di un intervento da poco più di 4 miliardi per garantire mille euro al mese a 850mila pensionati. L’ordine di grandezza della spesa che si vuole innescare con le nuove pensioni minime (o di cittadinanza per dirla con le parole del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio) è dunque dal miliardo a salire, mentre tagliando le pensioni d’oro fino al livello del loro equilibrio contribuivo non si andrebbe oltre i 200 milioni.
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