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Modello australiano per le piattaforme regionali di sbarco Ue

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MIGRANTI

Modello australiano per le piattaforme regionali di sbarco Ue

Il passaggio è ancora generico. La formula, come era prevedibile in un vertice che ha impegnato i leader europei in un duro e lungo negoziato per raggiungere un’intesa sulle politiche migratorie Ue, è di quelle che accontentano tutti. Al punto cinque delle Conclusioni del Consiglio europeo del 28 giugno, si legge: «Il Consiglio europeo chiede a Consiglio e Commissione di valutare in tempi rapidi se ci sono le condizioni per costituire piattaforme regionali di sbarco, in stretta cooperazione sia con i paesi terzi sia con l’Unhcr e l’Oim. Queste piattaforme dovrebbero distinguere i singoli casi (tra rifugiati e migranti economici, ndr), nel pieno rispetto del diritto internazionale e senza creare fattori che incentivino a migrare».

Le Conclusioni non chiariscono dove vanno costruite le piattaforme
La formula non chiarisce se queste piattaforme debbano essere solo nei territori dei paesi dell’Unione, debbano essere solo nei paesi terzi (quelli di origine e quelli di transito dei flussi) o entrambe le cose. Se l’Unione decidesse di crearle nei paesi terzi, il modello ricorderebbe molto quello australiano.

La spinta migratoria sulle coste australiane
Negli anni scorsi Camberra si è trova a gestire un flusso crescente di immigrati illegali e richiedenti asilo che tentavano di raggiungere le sue coste. Si tratta di persone provenienti dal Sud Est asiatico, in particolare Iraq e Afghanistan. Il picco è nel 2013, con 20mila arrivi.

L’operazione “Sovereign Borders”
Questa situazione spinge il governo di allora, guidato dall’esponente del Partito liberale Tony Abbott, a mettere in campo l’operazione “Sovereign Borders”. Il programma prevede l’uso della Guardia costiera australiana per intercettare le imbarcazioni degli immigrati illegati entrate nelle acque territoriali di Camberra, per poi ricondurle in quelle dei paesi da cui avevavano preso il mare, soprattutto Indonesia e Sri Lanka.

Centri di accoglienza nelle isole Manus e nell’isola-Stato di Nauru
Se queste imbarcazioni non sono nelle condizioni di tornare indietro via mare, scatta il piano B: gli immigrati illegali vengono trasferiti in centri di accoglienza in Papua Nuova Guinea (nelle isole Manus) e nell’isola-Stato di Nauru. In cambio questi paesi ricevono un sostegno economico da Camberra. Chi ha i requisiti per chiedere l’asilo, ottiene la possibilità di vivere in queste isole, ma non in Australia.

I risultati ottenuti
Nel primo anno, tra il settembre 2013 e l’ottobre 2014, sono arrivate nelle acque australiane 23 imbarcazioni con 1.350 persone a bordo e solo una è riuscita a raggiungere la costa australiana senza essere intercettata.

I costi: in un anno 400 milioni di euro per finanziare i controlli
Dal punto di vista dei costi, come ricorda il sito Analisidifesa.it, nell’anno fiscale 2013/14 l’Australia ha speso 300 milioni di euro per i controlli marittimi che però in gran parte vi sarebbero stati anche in assenza dell’emergenza determinata dall'immigrazione illegale. Una commissione parlamentare australiana ha elevato i costi totali a 400 milioni includendo il coinvolgimento delle navi della Marina militare (Royal Australian Navy) a cui aggiungere le spese di assistenza ai richiedenti asilo a Manus e Nauru.

Il no di Tunisia, Libia e Albania
A questo punto la domanda è: Paesi del Nord Africa come le isole Manus o Nauru? Per adesso Tunisia, Libia e Albania hanno detto no. Più flessibile la posizione dell’Egitto. La concessione di fondi, sul modello di quanto è avvenuto con i sei miliardi di euro dati alla Turchia per trattenere i rifugiati dalla Siria e bloccare il corridoio dei Balcani, potrebbe aprire porte che allo stato attuale sembrerebbero chiuse.

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