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Rosario, ’nduja e tracce sparse dell’antico spirito: il…

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Cronache dal raduno

Rosario, ’nduja e tracce sparse dell’antico spirito: il popolo della «nuova Lega» fa festa a Pontida

PONTIDA- Il sole a picco gli fa colare qualche goccia verde, ma lui non ha dubbi: «il colore della Lega resta questo». Per questo, prima di tornare come ogni anno sul “sacro suolo” – «come faccio dal ‘90», racconta - Narciso da Adro si è tinto la barba lunga di verde e ha disegnato il sole delle Alpi. «Io resto della Lega Nord e comunque sono quelli del Sud ad essere venuti qui», bofonchia guardandosi intorno.
Alle sue spalle, c'è la coda davanti al gazebo della Puglia, dove regalano pacchi di spaghetti. Più avanti si assaggiano dolci con le mandorle provenienti da Gela e dall'altro lato del pratone, superate bandiere vecchie e nuove, mani di ogni latitudine si allungano per infilzare bocconcini di mozzarella di Battipaglia o il pane con la ‘nduja calabrese. Sapori portati qui, tra le colline del bergamasco, soprattutto «dal dramma dell'immigrazione, che non riusciamo più a gestire, anche se siamo solidali con questa gente», racconta Giovanni da Vibo Valentia; «perché da noi non abbiamo infrastrutture e confidiamo nella flat tax», sintetizza Enzo Catapano, primo sindaco leghista campano; «perché il made in Italy ha bisogno di aiuto», gli fa eco Roberto da Brindisi, mentre distribuisce pasta. «Perché basta guardare questa tavola imbandita, per capire le ragioni del nostro sostegno a Salvini», indica Eleonora da Matera, che sogna «la liberazione della sua Lucania dai potentati». Perché «abbiamo bisogno di più sicurezza, perché vogliamo il buonsenso al governo», chiosa la neoconsigliera di Acireale, citando lo slogan di questa edizione. La prima con la Lega saldamente al Governo e non più da comprimaria; la Pontida del nuovo giuramento, per una Lega europea.

Sullo striscione appeso sulla collina, di fronte al palco, accanto a quello che invoca la flat tax, qualcuno scrive “secessione”. Ma ora sembra un cimelio d'archivio su questa spianata, dove non si incontrano più “barbari sognanti”, né si ripetono i riti celtici di un tempo. Anche la statua di Alberto da Giussano è sparita, rimossa per un restauro. Come, per la prima volta, non si fa neanche vedere Umberto Bossi, il fondatore della Lega, già l'anno scorso escluso dal palco. Manca anche Roberto Maroni.

La Lega cambia pelle e anche colore, anche se la trasformazione non è ancora completa. E sullo stand principale, che diffonde profumo di salamelle, ancora domina la vecchia bandiera con il riferimento al Nord e il rimando all'alleanza contro Barbarossa. Un po' ovunque, i nuovi manifesti azzurri e bianchi, quelli della linea sovranista e nazionalista, rilanciata da Matteo Salvini, si affiancano ai vecchi, verdi, dei tempi della Padania e del Nord. E agli evergreen della Repubblica di San Marco, per rimarcare la battaglia dell'autonomia, con gli impegni rinnovati dal Governatore veneto Luca Zaia.

Ma «nessuna nostalgia delle passate campagne», se non da parte di pochissimi, come un militante di Lazzate, Fabio, che distribuisce volantini per raccontare «le angherie e l'isolamento subito, in quanto bossiano». Un pittore originario dell'Albania si fa strada nella folla, per riuscire a regalare al “capitano” il ritratto che gli ha fatto. Un altro se l'è appeso in casa lui, «perché mi piace», taglia corto. E poco importa se le politiche di oggi di Salvini con la chiusura dei porti avrebbero impedito anche a moltissimi suoi connazionali di sbarcare in Puglia, negli anni della nave Vlora e dei gommoni. «Gli albanesi sono vicini all'Italia, stanno per entrare in Europa - obietta – non sono come questi migranti, Matteo fa bene a tenerli fuori». Ha portato un crocifisso invece la Veronica, con un cartello: «se non lo vuoi, torna al tuo Paese». Tra gli stand, va a ruba la maglietta con la scritta «la pacchia è finita per tutti», quella che indossa a inizio giornata Salvini. Il suono delle cornamuse, diffuso dagli altoparlanti, rievoca il passato, ma la colonna sonora di questa edizione dei record è l'aria della Turandot, che annuncia l'ingresso del leader.

«All'alba vincerò», intona il tenore. E da vincitore si presenta il segretario del Carroccio, vicepremier e ministro dell'Interno. Lo speaker tradizionale di Pontida urla dai megafoni tutte le cariche di chi ha portato la Lega ad avere saldamente in mano le redini del Governo e una folla da stadio acclama Matteo. La stessa che quasi due ore dopo lo seguirà, ad ogni invocazione del nuovo giuramento di Pontida. Quello per una dimensione che supera i confini italiani, per «la liberazione dei popoli d'Europa», che col rosario in mano proclama dal palco Salvini.

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