I vertici dell’allora Lega Nord, Umberto Bossi e Francesco Belsito, erano «consapevoli delle irregolarità dei rendiconti da loro sottoscritti e che dissimulavano la irregolarità di gestione». Nasce così la maxi inchiesta della Procura di Genova, che ha svelato la frode da 49 milioni di euro che ora rischia di pendere come una mannaia anche sui conti della Lega di Matteo Salvini. In ballo ci sono due indagini giudiziarie, alle procure di Genova e di Roma, che rischiano di portare gli attuali vertici del partito a chiarire i metodi con cui sono compiuti i finanziamenti. Ma andiamo per gradi.
L’inchiesta “The Family: i 49 milioni
I pm di Genova, attraverso gli accertamenti della Guardia di finanza, hanno ricostruito il vasto «sistema» per sottrarre i finanziamenti al Carroccio. Verifiche che hanno portato il Tribunale del capoluogo ligure a emettere una sentenza il 24 luglio 2017, con cui sono stati condannati, tra gli altri, Umberto Bossi e l’ex tesoriere Francesco Belsito. L’inchiesta, deflagrata nel 2012, ha riguardato fatti avvenuti tra il 2008 e il 2010: in quest’arco temporale sarebbero state presentate rendicontazioni irregolari al Parlamento per ottenere indebitamente i fondi pubblici. L’inchiesta fu battezzata “The Family”, come il nome riportato sulla copertina di una cartellina di appunti conservata dall’allora tesoriere Belsito, in cui erano elencate le spese della famiglia Bossi.
La cartellina con tutte le spese pazze della famiglia Bossi
Sulla cartellina erano riportate una serie di spese: 10mila euro per l’operazione di rinoplastica del figlio di Bossi, Sirio, le multe dell’altro figlio Renzo, soprannominato “Trota”, e le spese per la ristrutturazione della casa di Gemonio. Alcune pagine della cartellina sono dedicate all’Università albanese Kriistal di Tirana, dove Renzo ha ottenuto il diploma di primo livello in “Gestione aziendale”. Tutto questo materiale investigativo ha consentito ai pm di ottenere la condanna e il sequestro dei fondi custoditi sui conti della Lega. Il 4 settembre 2017 la Procura «otteneva - si legge nei documenti - dal Tribunale l’emissione di sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta nei confronti della Lega» di una somma pari a 48 milioni 969mila 617 euro.
Sul conto corrente solo 1 milione 650mila euro
Tuttavia, in sede di esecuzione gli investigatori della Finanza hanno trovato esclusivamente 1 milione 651mila euro. Della restante somma non c’era più traccia. È in questa fase che sono nati una serie di ricorsi sia dell’accusa sia della difesa, sfociati nella sentenza emessa dalla Corte di Cassazione che ha sancito un principio cui dovrà attenersi il Tribunale del Riesame: la Lega dovrà restituire tutti i 49 milioni di euro. Per questo gli inquirenti potranno scandagliare conti correnti bancari, libretti e deposito: il denaro potrà essere sequestrato per equivalente «ovunque e presso chiunque custodito». Ciò vuol dire che ogni erogazione fatta in favore della Lega potrà essere confiscata.
I finanziamenti di Parnasi
Ed è in questa fase che si inserisce il capitolo dei finanziamenti fatti dall’imprenditore Luca Parnasi. Si tratta di 250mila euro (più altri presunti versamenti per 100mila euro) compiuti verso l’associazione PiùVoci, presieduta dal tesoriere ufficiale della Lega, Giulio Centemero. Su questo fronte dell’indagine i pm di Roma si stanno coordinando con quelli di Genova, che nei giorni scorsi hanno inviato una rogatoria internazionale nel Lussemburgo, per accertare eventuali flussi di denaro illeciti.
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