Per rinnovare, o prorogare, un contratto a termine in corso, o se si vuole stipulare un nuovo rapporto a tempo di durata superiore ai 12 mesi, un’impresa, d’ora in avanti, sarà tenuta a indicare la causale; e, nel caso di nuove commesse, vale a dire di incrementi dell’attività ordinaria, per essere in regola, dovrà dimostrare, in particolare, che questi nuovi “carichi di lavoro” siano al tempo stesso, «temporanei, significativi e non programmabili».
Risultato? Che si riportano le aziende dentro un sentiero normativo molto stretto, con il rischio, concreto, di sbagliare e quindi di subire nuovi contenziosi da parte dei lavoratori, rendendo, peraltro, difficoltoso procedere alla stabilizzazione del rapporto, visto il simultaneo incremento dei costi (contributivi, lo 0,50%, sui rinnovi dei contratti a termine, e indennitari, in caso di licenziamento illegittimo). Il decreto estivo, in attesa della firma del Capo dello Stato e dell’approdo in Gazzetta ufficiale (salvo sorprese, dovrebbe avvenire tra oggi e domani), porta con sé, sul fronte lavoro, un complessivo aggravio burocratico, ed economico, sui datori, disegnando vere e proprie “trappole” nel percorso applicativo delle nuove regole. Di questi “ostacoli” ne abbiamo contati almeno sei; e tutti molto delicati.
Oltre al ripristino delle causali, la seconda trappola è la stretta sul lavoro somministrato. Qui la bozza del Dl estende il giro di vite sui contratti a termine anche al rapporto di impiego che lega «somministratore e lavoratore» somministrato. In pratica, la rigidità si scarica non sul contratto commerciale che lega la risorsa con l’impresa utilizzatrice, ma sull’agenzia privata e il medesimo lavoratore. Con quale effetto? «Che si impedisce, o quanto meno rende molto più difficoltoso, alle agenzie di assumere personale a tempo – spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro all’università «La Sapienza» di Roma –. In questo modo, nei fatti, si vieta al somministratore di somministrare, con il ripristino delle causali e l’irrigidimento su durate e proroghe».
L’obiettivo del nuovo governo, e del ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, è quello, condivisibile, di contrastare il precariato. Tuttavia, e veniamo alla terza trappola, una normativa più severa sui contratti flessibili unita all’aumento del 50% degli indennizzi, minimi e massimi, sui licenziamenti illegittimi nei contratti a tutele crescenti (da 4 a 24 mensilità si sale a 6 e 36 mensilità), rischia di non produrre l’effetto desiderato. Semplicemente perché si disincentivano, contemporaneamente, entrambe le tipologie negoziali.
In questo modo, e questa è la quarta trappola insita nel provvedimento, è che si finisce per moltiplicare il lavoro precario (come effetto di un ampio, ipotizzabile, turn over - se non, addirittura lavoro irregolare). Dopo un primo contratto a termine, infatti, difficilmente un’azienda assume a tempo indeterminato la risorsa, ma sarà portata a contrattualizzarne una nuova. Il fattore “periodo di prova” è importante: come dimostrano i recenti dati Istat e Inps sulle stabilizzazioni incentivate. Una volta finiti gli sgravi, i dipendenti non sono stati licenziati in massa, e ciò perché un imprenditore non si priva di un collaboratore che ha utilizzato, e apprezzato, per un periodo congruo (36 mesi). Il punto è che il provvedimento entra in vigore subito, e ciò coglie di sorpresa gli operatori . È la quinta trappola. È poco immaginabile che le aziende possano, in poche ore, cambiare le modalità di assunzione o di somministrazione, in base a programmi già definiti, magari da settimane. Per questo, aggiunge il professor Maresca, «è fondamentale introdurre un periodo transitorio adeguato per consentire agli operatori di modificare l’organzzazione del lavoro».
Senza considerare, in aggiunta, e questa è la sesta e ultima trappola, che le nuove regole, per come sono scritte, rischiano di applicarsi anche agli stagionali. Siamo nel bel mezzo del periodo estivo: è ipotizzabile fermare le aziende stagionali per tutto il mese di luglio prima della conversione del Dl?
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