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Sbarchi: soluzioni di volta in volta, ma senza modelli e intese vincolanti

«Sull’immigrazione l’Italia non è più sola. È stato affermato un principio
nuovo per cui i migranti sbarcati in Italia sono sbarcati in Europa». È questo il giudizio con cui Palazzo Chigi ha incassato il sì di Malta, Francia Germania, Spagna, Portogallo, Irlanda ad ospitare ciascuno una parte dei 450 migranti sbarcati il 16 luglio, nel porto di Pozzallo, in Sicilia (tutti ne prenderanno 50, tranne l’Irlanda 20). Migranti raccolti due giorni prima dalla nave Protector del dispositivo Frontex e dal pattugliatore Monte Sperone della Guardia di finanza vicino all’isola di Linosa. La richiesta di redistribuzione era stata sollecitata per lettera a tutti i leader europei dal premier italiano Giuseppe Conte, sollecitando l’applicazione immediata «dei principi europei affermati nel corso dell’ultimo Consiglio Europeo di fine giugno», dove è stato deciso di distribuire sul territorio comunitario gli sbarchi di migranti, in base a un principio di solidarietà, con l’obiettivo di allentare le pressioni sui paesi di prima accoglienza, in particolare l'Italia.

L’assenza di regole certe sulla redistribuzione
Ma la sensazione è che si navighi a vista e che quest’ultimo caso non rappresenterà necessariamente un precedente “cogente” in tutti i nuovi sicuri casi di barconi in avvicinamento alle coste italiane. Anche perché il principio di redistribuzione è su base volontaria. I precedenti, del resto, non lasciano ben sperare. E la sensazione è che ci si muova in ordine sparso, anche perché al di là dell’unanime soddisfazione per la conclusione della vicenda dei 450 migranti sbarcati a Pozzallo, nel governo sotto traccia continuano a convivere due linee: quella della “fermezza” del ministro dell’Interno Matteo Salvini e quella più soft dei ministri Cinque stelle Trenta (Difesa) e Toninelli (Infrastrutture).

GUARDA IL VIDEO: Aut Aut su migranti a Pozzallo, aprono Francia e Malta

Il precedente della nave Acquarius
All’inizio a prevalere è stata la linea dura di Salvini, schierato senza se e senza ma per la chiusura dei porti italiani alle organizzazioni non governative. Una linea che costrinse la nave Aquarius dell’ong Sos Mediterranee a vagare per nove giorni senza un porto dove approdare. Fino alla mossa a sorpresa l’11 giugno del neopremier socialista spagnolo Pedro Sanchez che annunciò la volontà di accogliere la nave con 629 migranti a bordo. Prima della comunicazione di Madrid, il pressing di Onu e Ue sui due litiganti, Italia e Malta, per far prevalere le ragioni umanitarie non aveva dato esito positivo.

Il caso della Lifeline
A metà giugno la nave della Ong tedesca Lifeline, con 230 migranti salvati a bordo, è stata lasciata in mare aperto per quasi una settimana dopo che l’Italia si è rifiutata di farla entrare in un suo porto. Alla fine, il 27 giugno è approdata a Malta, dopo che nove Paesi dell’Ue (oltre a Malta, Italia, Francia, Irlanda, Portogallo, Belgio, Olanda e Lussemburgo) hanno accettato, di accogliere ciascuno una quota dei migranti a bordo.

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Il tentativo di chiudere alle navi della missioni internazionali
Il vicepremier leghista Salvini a inizio luglio aveva proposto di chiudere i porti italiani anche alle navi militari delle missioni internazionali. Una proposta arrivata dopo l’avvicinamento di una nave, con 106 migranti a bordo, della missione Ue Eunavformed-Sophia al porto di Messina. Una proposta, che avrebbe voluto annunciare al vertice dei ministri degli Interni dei ministri Ue di Innsbruck del 12 e 13 luglio, alla quale ha fatto seguito subito lo stop della ministra della Difesa Elisabetta Trenta. «Eunavformed - è stata l’obiezione - è una missione europea ai livelli Esteri e Difesa, non Interni. Quelle che vanno cambiate sono le regole di ingaggio della missione e occorre farlo nelle sede competenti, non a Innsbruck». E alla fine il 7 luglio, con l’ok del Viminale, sono approdati gli oltre 100 profughi, tratti a bordo dal pattugliatore irlandese Samuel Beckett in acque libiche.

Da ricordare che EunavForMed-Sophia è un’operazione militare dell'Unione europea avviata nel giugno 2015 e successivamente prorogata due volte, fino all'attuale scadenza (31 dicembre 2018). Lo sbarco finale delle navi militari che intervengono in caso di un naufragio avviene in Italia perché si fa rinvio al piano operativo dell’operazione Triton dell'agenzia Ue Frontex che prevede, appunto, che l'approdo sia nel nostro Paese.

Lo scontro istituzionale sulla nave Diciotti
Ma la questione forse più complicata e delicata, fino al rischio dell0 scontro istituzionale, ha riguardato la nave Diciotti della Guardia Costiera con a bordo 67 migranti, soccorsi il 9 luglio dal mercantile Vos Thalassa. La Guardia costiera era intervenuta perché il comandante del mercantile aveva segnalato una situazione di “grave pericolo” per l’equipaggio, tutto composto da italiani, minacciato da alcuni migranti soccorsi all’arrivo in zona di una motovedetta libica che li avrebbe riportati sulle coste africane. Sulla vicenda si è subito alzata la tensione nel Governo. Mentre dal ministero dei Trasporti, guidato da Danilo Toninelli (M5s) si faceva sapere che la Diciotti era diretta verso Trapani (lasciando trasparire la disponibilità all’accoglienza), Salvini metteva paletti: «Prima di concedere qualsiasi autorizzazione, attendo di sapere nomi, cognomi e nazionalità dei violenti che dovranno scendere dalla nave in manette».

La nave, entrata nel porto di Trapani nel pomeriggio del 12 luglio è rimasta per ore ferma senza far scendere nessuno. Ed è stato alla fine l'intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sbloccare la situazione contattando direttamente il premier Giuseppe Conte, che ha dato l’ok allo sbarco. Lo stop ostinato alla discesa dalla nave voluto da Salvini ha sollevato molta preoccupazione Mattarella. Mai si era vista una vicenda del genere. Una nave militare italiana bloccata in un porto italiano. Di qui la telefonata al presidente del Consiglio. Con il ministro che ha dovuto cedere, non mancando di far sapere il suo «stupore» (leggi irritazione) per l’intervento del Quirinale.

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