Sarà anche la capacità di mettere a bilancio un freno effettivo alla spesa corrente ad aprire gli spazi per la ripresa degli investimenti e le misure di “avvio” di flat tax e reddito di cittadinanza su cui si è trovato un primo accordo nel vertice di governo di venerdì. La variabile è collegata direttamente alla possibilità di mettere in campo misure “anticicliche”, in grado cioè almeno di ridurre la frenata della crescita italiana registrata da tutti gli osservatori internazionali e certificata nei giorni scorsi dall’Istat. Perché basterebbero un paio di decimali di aumento del Pil 2019 in più rispetto ai livelli fra 1% e 1,1% previsti da Fmi, Ocse e commissione europea per ridurre di circa 2 miliardi l’effetto sul deficit nei conti dell’anno prossimo.
Sui numeri del programma di finanza pubblica e sulla composizione della manovra sono al lavoro le tre task force su fisco, welfare e investimenti pubblici annunciate nelle settimane scorse dal ministro dell’Economia, Giovanni Tria. I tavoli preparano la cassetta degli attrezzi, vale a dire le diverse ipotesi tecniche da portare agli incontri politici che dettano la linea. Quella emersa dal super-vertice di venerdì, ha ribadito ieri il vicepremier Luigi Di Maio, non prevede «nessuno strappo con l’Unione Europea, ma un dialogo deciso per riuscire a ottenere delle cose». E sul piano politico continuano a essere bocciate le ipotesi che passano da uno stop non integrale agli aumenti Iva da 12,4 miliardi messi in calendario dalle clausole di salvaguardia: «Una fake news», ha ribattuto il vicepremier. I lavori comunque sono in corso.
Mercati ed Europa sono i convitati di pietra degli incontri. Sullo la curva dei rendimenti resta tutt’altro che tranquillizzante: i titoli a 10 anni al 2,95% pesano sui conti pubblici, ma quelli a due anni hanno vissuto un venerdì in altalena (viaggiano sopra l’1%, unici tra i big dell’Eurozona con rendimento positivo a scadenza così breve) dopo un picco a 1,37% che aveva fatto raddoppiare i tassi in una mattinata. Con Bruxelles l’appuntamento è a settembre, e il “dialogo” evocato da Di Maio punta a ottenere sul deficit strutturale un obiettivo vicino a quello di quest’anno (1% del Pil) il che, al netto degli effetti a consuntivo della crescita ridotta, significherebbe uno sconto vicino agli 11 miliardi rispetto al deficit da 0,4% scritto nei programmi.
Anche così, resterebbero almeno 11 miliardi da trovare per affrontare spese indifferibili, interessi sul debito e ricadute del Pil in frenata. Proprio quest’ultima variabile diventa decisiva, e per animarla Tria punta sulla “ricomposizione” del bilancio che premi gli investimenti e quindi aumenti la crescita. Un antipasto di manovra, in questo senso, arriverà con i due emendamenti al Milleproroghe che sbloccano un miliardo in due anni di investimenti in regioni ed enti locali (finanziati dalla legge di bilancio 2018) e riattivano il maxi-fondo (35 miliardi in 15 anni) messo in pista dalla manovra 2017 e bloccato dalla Consulta per un problema di competenze concorrenti fra Stato e regioni. Per trovare risorse nuove, però, bisognerà fermare la spesa corrente. Tria ha indicato l’obiettivo di congelarla in termini nominali, che si tradurrebbe in un risparmio da 3,3 miliardi a livello centrale e da 10 miliardi nel complesso della Pa. Proprio quel che serve a far quadrare i conti. E a far arrabbiare altri ministri del governo che puntano alla ripresa della spesa sanitaria o al rinnovo dei contratti nel pubblico impiego.
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