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Senza shopping la domenica 400 milioni in meno ai lavoratori

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gli effetti dello stop alle liberalizzazioni

Senza shopping la domenica 400 milioni in meno ai lavoratori

La maggioranza “tira dritto” sulle chiusure domenicali di negozi e centri commerciali. L’ultimo a ribadirlo è stato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro dopo che Luigi Di Maio ha condannato più volte una liberalizzazione che, secondo il vicepremier, «sta distruggendo le famiglie italiane». Fatto sta che numeri alla mano una chiusura tout court nei festivi produrrebbe un taglio di 400 milioni che oggi vengono spesi ogni anno per pagare il lavoro straordinario di domenica. L’effetto a medio lungo termine sarebbe l’addio a circa 40mila posti di lavoro. Senza contare la rinuncia per i 12 milioni di italiani che oggi sfruttano le aperture domenicali per il loro shopping.

Secondo i numeri di Federdistribuzione oggi per coprire le esigenze di servizio conseguenti alle aperture domenicali e festive le grandi catene commerciali pagano retribuzioni per 400 milioni euro, che equivalgono a circa 16mila occupati aggiuntivi a tempo pieno in più. Le domeniche e i festivi oggi pesano per il 10% del fatturato (la domenica è il secondo giorno con incassi maggiori) e l’addio a questa possibilità alla lunga avrebbe un effetto più pesante anche sull’occupazione che potrebbe produrre nel medio lungo periodo, secondo la grande distribuzione, circa 40mila esuberi.

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I 400 milioni spesi in più servono infatti per pagare gli straordinari o e assunzioni nei week end nel settore della grande distribuzione dove sono impiegati circa 460mila persone, dei 2 milioni di lavoratori complessivi: il contratto nazionale del commercio attualmente in vigore prevede infatti come regola base che i festivi e le domeniche siano pagati con una maggiorazione del 30% che vale per i lavoratori ordinari ma dovrebbe valere anche per chi lavora con contratti di somministrazione o contratti per i week end. In più i contratti integrativi di secondo livello (territoriali o aziendali) possono prevedere anche maggiorazioni più pesanti che in alcuni casi arrivano all’80 per cento.

«Dalla riforma Monti del 2011 l’apertura domenicale ha consentito non solo di ammortizzare la fase recessiva dei consumi durante la crisi ma anche avuto un effetto positivo sulla tenuta, contribuendo con un aumento del 3%», spiega Massimo Moretti presidente e Cncc, il Consiglio nazionale centri commerciali. Che lancia l’allarme. I “mall” in tutta Italia «occupano 525mila addetti diretti, e così sarebbero a rischio 40mila posti, ma è un calcolo prudente, e comunque vuol dire quattro volte l’Ilva. Oltretutto si deve guardare al tipo di occupazione e ai profili di chi lavora nei centri commerciali: sono giovani e molte donne e con un livello di scolarità che generalmente non favorisce alternative occupazionali». Ma c’è anche un’altra variabile importante. L’apertura domenicale è valutata positivamente nel quadro del sistema Italia dagli investitori internazionali, sottolinea Moretti «che hanno in mano il 70% dei nostri centri commerciali». È quindi strategico sul fronte della competitività. Per questo chiediamo al Governo «di aprire un tavolo per discutere di tutti questi temi».

I sindacati segnalano però diverse zone d’ombra: «Nella stragrande maggioranza dei casi i lavoratori assunti per coprire i turni del week end non ottengono la maggiorazione, perché il lavoro di sabato e domenica viene considerato come un tempo ordinario», spiega Luigino Pezzuolo, segretario generale Cisl-Fisacat di Milano, che rappresenta i lavoratori del settore del commercio, del turismo e del terziario. Non solo, Pezzuolo segnala un’altra criticità: «La maggioranza dei dipendenti, almeno l’80%, è assunto con contratti di part time in cui l’orario viene spalmato su più giorni e alla fine questa modalità li costringe a coprire anche i turni domenicali per poche ore con disagi pesanti per la loro vita familiare».

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«Nel part-time il lavoro domenicale deve essere specificato contestualmente alla stipula del contratto», precisa Jole Vernola, responabile politiche del lavoro e welfare di Confcommercio. Altrimenti, se non viene messo nero su bianco nell’orario di lavoro del dipendente part-time, non può essere richiesto. Se il dipendente ha orario pieno, invece, le regole arrivano dal contratto collettivo del commercio. «In ogni caso - sottolinea Vernola – non si deve parlare di straordinario ma di lavoro domenicale». Appunto regolato dal Ccnl con una maggiorazione del 30 per cento, il doppio di quanto previsto per lo straordinario fissato al 15 per cento. Con un numero massimo di domeniche lavorate nel caso al momento dell’assunzione non si sia accettato il lavoro domenicale. «Altra cosa – spiega Vernola – è il lavoro nei giorni festivi, che è esclusivamente su base volontaria» .

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